Sono esseri solitari che cercano negli angoli e negli interstizi della pelle il ricordo di essere figli del mondo. La gatta è spietata, è egoista, è l'apice dell'essenza che verte in appariscenza, ma alla fine, se guardiamo bene, anche noi siamo parte di essa.
Atto primo: gli occhi viola colmi di desiderio, di priorità materna. L'inarcamento della schiena contro il muro segue la traccia del passaggio ormonale deriva di vibrazioni, ma la gatta non è tale se si lascia stancare le forze nell'atto di suscitare.
Atto secondo: effusione stroncata dall'avviso lancinante, che il desiderio non basta, a distogliere lo sguardo da ciò che si è fatto finta di non vedere, e che è stato forte sprazzo di calore, e nebbia ossuta contro cui sbattere.
Atto terzo: gli artigli dispersi della gatta saggiano lo spessore di una barriera impenetrabile. Il senso della vita regredisce l'esistenza al dover crescere appoggiati a pupazzi di stoffa per poi divenire famelici e distorti dentro una scatola di rabbia.
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