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Porcile

Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Porcile

di yume
9 stelle

Tra Medio Evo e Novecento, la parabola desolata di una società di cannibali.

 

 

locandina

Porcile (1969): locandina

Con lapidaria lettura così Tullio Kezich sintetizzò il film:

Il porcile è la nostra società che soffoca la libera espressione dei giovani anticonformisti, ne devia gli istinti e alla fine li distrugge. Non importa se i figli sono ribelli o indifferenti, è sufficiente che siano diversi dai padri.”

 E questo è ciò che del film disse Pasolini nel ’69, quando lo presentò a Venezia dove fu tranquillamente ignorato:

 “… So io quello che ho dato di me per fare Porcile: un film povero, girato in un mese, con una cifra irrisoria. È stato meraviglioso, si capisce. Perché l’esprimersi — anche attraverso i disagi più angosciosi è sempre meraviglioso.

E poi, ci sono le avventure umane della lavorazione, il cui valore nulla poi può togliere: come amori di un giorno, subito lontani ma indelebili, ci sono i rapporti degli attori — il disperato Pierre Clementi, l’angosciato Jean-Pierre Léaud — per cui il lavorare era come per dei bambini sperduti l’essere accarezzati dalla madre; lo smarrito Lionello, che con una volontà struggente ha vinto le impossibilità del suo ruolo, riuscendo gioiosamente vittorioso; l’adorabile Anne Wiazemsky, sempre perfetta e invulnerabile, lei, come una preziosa bestia di razza (o come Marco Ferreri); Ninetto — Ninetto Davoli — che per la prima volta, nella sua esperienza un po’ comica di «attore per forza», ha avuto coscienza di quello che faceva, e ha recitato l’ultima scena con le lacrime agli occhi; e Tognazzi, infine, uno degli uomini più buoni e intelligenti che io abbia conosciuto. E poi le avventure naturali. Credo che nessuno abbia mai patito tanto freddo come noi, prima sull’Etna, con vento, nebbia, neve, pioggia, e poi in gennaio in una villa veneta neoclassica vicino a Padova, che deve essere gelida anche d’estateLì la forza delle cose era una forza interiore: eravamo dominatori della tanto difficile e imprendibile realtà, che recalcitrava maledettamente, ma solo sul suo livello pragmatico! Come era dolce possederla, cioè essere fusi con essa!

Ecco, ora il film è finito, è alle mie spalle. Lo considero il più riuscito dei miei film, almeno esteriormente, se il mio atteggiamento verso cose e casi tanto brucianti non aveva potuto essere che contemplativo.

da Tempo Illustrato, 13 settembre 1969.

Porcile, esempio eccelso di quella che Bela Balàsz (1949)definisce “ermeneutica del profondo” che “stabilisce un contatto diretto con l’inconscio dello spettatore, con il suo discorso interiore”, nel trasformare in segno la realtà visiva e acustica del mondo esterno ne fa un’apocalisse che, afferma l’autore, “non potevo che trattare: a) con distacco, quasi contemplativo; b) con umorismo”.

Posto come principio base la sua “ disperata sfiducia in tutte le società storiche”, resta questa sorta di “anarchia apocalittica” che sconvolge le coordinate del vivere cosiddetto “civile” , ne scardina maschere e ipocrisia, mette a nudo l’unica verità credibile:  l’impossibilità per l’individuo dissenziente o anche semplicemente “diverso”, di esprimersi e vivere in società corrotte.

Due storie complementari si snodano in sequenze alternate, brevi e veloci: una si svolge nella Germania moderna, l’altra in uno spazio corrusco e fiabesco lungo le falde di un vulcano, l’Etna.

Pierre Clementi

Porcile (1969): Pierre Clementi

Colonne di fumo, coni di cenere, fumarole che emanano vapore e gas puntellano il paesaggio lavico in cui si aggira il muto protagonista (Pierre Clementi) contornato a tratti da personaggi con armature spagnolesche e miserabili picari spuntati dal nulla. E’ un medioevo profondo e selvaggio, prelinguistico, unici suoni urla selvagge, cozzar di spade e tuonar di archibugi.

Lo scenario tedesco, al contrario, risuona degli arpeggi di mister Klodz (Alberto Lionello), rampollo della ricca nomenklatura industriale della Germania post-hitleriana, passata indenne fra le rovine del Terzo Reich.

Ora inabile in carrozzella, arguto e iconoclasta, è padre del giovane Julian (Jean Pierre Leaud) protagonista della seconda storia.

Ensemble cameristici, interni lussuosi di neoclassica eleganza, parole accuratamente forgiate per dialoghi tra personaggi di classe colta, quella che con il recente passato ha chiuso la partita con qualche lifting facciale e tanta smemoratezza, ha come sfondo villa Pisani a Stra, nel padovano..

I due giovani protagonisti di entrambe le età della storia, il Cinquecento e il Novecento, rappresentano la “diversità”, la “disobbedienza” ai padri.

Vivono in una desolata solitudine: il primo, dopo aver ucciso il padre (storia che apprendiamo dall’epigrafe iniziale) si è rifugiato sul vulcano e si nutre di erbe, serpenti e farfalle.

In una radura trova armi e ossa, resti di antiche battaglie. Indossa l’elmo, imbraccia archibugio e spadone e ingaggia un duello con un fante sopravvissuto.

Pierre Clementi

Porcile (1969): Pierre Clementi

 Lo uccide e si nutre delle sue carni.

Le sue uniche parole sono:

“Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia”

Sarà condannato da un tribunale selvaggio quanto lui ad essere divorato dai lupi.

scena

Porcile (1969): scena

L’altro, figlio della dinastia che si è nutrita delle vittime dei lager, vive in uno stato semicatatonico ed è portatore di un amore che rifiuta il contatto umano e si rivolge ad una scrofa.

Il suo scandaloso segreto sarà rivelato nella sequenza finale con la notizia portata al padre della sua morte orribile, divorato dai grassi maiali di quel porcile, da lui frequentato giornalmente fin da tenera età, che fa  da sfondo grufolando ai titoli di testa.

Ugo Tognazzi, Marco Ferreri, Alberto Lionello

Porcile (1969): Ugo Tognazzi, Marco Ferreri, Alberto Lionello

Le parole che è necessario usare per parlare del film sono più violente delle immagini che scorrono sullo schermo.

Il cannibalismo, tabù primario delle società umane, è pratica suggerita da scarne riprese e poche parole, ma cresce come gonfiandosi nella mente di chi assiste alle due “cerimonie”, così possiamo chiamarle, olocausto di vite a cui i padri hanno negato la sopravvivenza.

Perché il Nazismo? E’ la domanda sottesa da Pasolini con la sua allegoria, ma la risposta non esiste, o ce ne sono troppe e inutili, la morale molto elementare è che l’uomo divora l’altro uomo e finirà divorato dalle bestie delle cui carni si è nutrito.

L’antropofagia è il connotato di una società umana cannibalesca che divora i suoi figli o li costringe ai suoi orrendi crimini. Ciò che conta è salvare gli interessi delle classi dominanti.

Film maudit, precorre Salò, sfuggì alla censura forse solo per ignoranza e sottovalutazione da parte dei censori.

Alberto Lionello, Ugo Tognazzi, Marco Ferreri

Porcile (1969): Alberto Lionello, Ugo Tognazzi, Marco Ferreri

Il cast riunito da Pasolini per questa avventura estrema e faticosa è un eccellente gruppo di cui si avverte la completa condivisione con la passione del regista: Pierre Clementi, indimenticabile viso angelico colmo di sofferenza, Jean-Pierre Leaud, algido e nevrotico, la rivelazione, Marco Ferreri, nei panni di un caustico e sulfureo degno compare di mister Klodz e Alberto Lionello, grande istrione teatrale felicemente prestato al cinema.

Tognazzi, ex nazista passato amigliori fortune con lifting facciale, domina la scena nel duetto finale con Ninetto Davoli, momento in cui si tocca il fondo dell’abiezione e della pietas.

Le lacrime di Ninetto sono autentiche, parola di Pasolini.

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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