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Speriamo che sia femmina

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su Speriamo che sia femmina

di LorCio
10 stelle

Vicino Grosseto, una famiglia di latifondisti in declino conta la sola presenza di un uomo in casa, perlopiù fuori di testa (lo splendido zio Gugo di Bernard Blier). Coloro che mantengono la baracca sono le donne, capitanate da Francesca (una matronale Liv Ullmann di potenza bergmaniana), ex moglie del Conte Leonardo (un disperato Philippe Noiret, in un ruolo in origine pensato per Carlo Giuffrè). Quest’ultimo torna a casa chiedendo, per l’ennesima volta, un prestito alla moglie, da investire in una folle opera architettonica finanziata anche dalla sua attuale amante, tenitrice di una palestra a Roma (una svagata Stefania Sandrelli). Quando si vede le spalle voltate, si dà la morte.

 

Alla povera Francesca spetta la risoluzione di molti problemi: l’amore della figlia (Giuliana De Sio) per uno svitato (Paolo Hendel), le richieste dell’amante dell’ex marito, la delicata questione sentimentale della sorella diva degli sceneggiati (Catherine Deneuve in pieno post-divismo), lo zio da spedire in un ospizio, le corna della domestica di casa (la grande Athina Cenci), il casale da vendere. E trascura il suo amore per l’arrivista Nardoni (tra le prove più brillanti di Giuliano Gemma)… Povera lei quando si ritrovano tutte a far bilanci e la figlia annuncia di essere incinta. E, allora, speriamo che sia femmina. Un’altra?

 

Grande commedia borghese diretta da un Mario Monicelli mai così placido da anni, che ambienta il racconto in una Toscana tranquilla eppur sempre graffiante e simpaticamente femminista. Retto da una perfetta sceneggiatura scritta a dieci mani con altre volpi del cinema italiano (la nostra più grande sceneggiatrice, Suso Cecchi D’Amico, più Tullio Pinelli e il duo Leo Benvenuti e Piero De Bernardi), rappresenta il nucleo borghese-campestre caratterizzandolo con la totale assenza di un patriarca o di una figura maschile carismatica.

 

In Speriamo che sia femmina, gli uomini sono imbecilli (Blier, Hendel) o arrivisti (Noiret, Gemma). L'idea di fondo è che per certe donne, l'assenza, la debolezza, l'egoismo dei maschi non può che essere una soluzione. Senza mai oscurare i suoi ispiratissimi attori, all'alba dei settant'anni Monicelli, dopo aver abbandonato la contemporaneità col pur metaforico Marchese del Grillo e Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno e con un adattamento pirandellino del Mattia Pascal, si lascia felicemente suggestionare dall'idillio campagnolo dominato da un matriarcato spiccio e pratico e dirige il traffico con soave leggerezza. Musica elegante di Nicola Piovani, luci calde di Camillo Bazzoni, montaggio rilassato di Ruggero Mastroianni.

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