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Ladybird Ladybird

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su Ladybird Ladybird

di fixer
8 stelle

Uno dei talenti di Ken Loach è quello di mostrare la realtà, suggerendo il suo punto di vista ideologico con il coraggio però di non nascondere le pecche, gli aspetti negativi dei suoi eroi proletari.

Questo regista, di famiglia modesta, che personalmente considero uno degli uomini di cinema più coerenti e lucidi dell’intero panorama cinematografico mondiale, è capace, e questo è un altro dei suoi talenti, di coinvolgere lo spettatore senza indulgere a facili compromessi stilistici o accattivarsi il pubblico con soluzioni consolatorie.

Lady-bird Lady-bird (letteralmente: coccinella) è il titolo di una filastrocca per bambini che ricorda come in questo film i veri protagonisti (e vittime) siano appunto i bambini, nati da genitori con gravi problemi di disagio sociale e di difficile adattamento alla realtà socio-economica di un Paese, per certi aspetti, all’avanguardia in tema di servizi sociali, ma colpevole di eccessivo rigore leguleio e di mancanza di un pizzico di umanità da parte dei propri assistenti sociali e dei tutori della legge.

Come sempre accade nelle sue storie,il personaggio principale appartiene alla classe proletaria. Maggie è una donna non più giovane che ha affrontato la vita con gli svantaggi di una condizione sociale di degrado, abbrutita da vicissitudini umane molto negative, da scelte personali e affettive rivelatesi sbagliate. Ha avuto quattro figli da quattro compagni diversi, senza poter contare su un lavoro stabile, beneficiaria di un assegno sociale che la costringe a dedicarsi esclusivamente al ruolo di madre, costantemente alle prese con assistenti sociali che vigilano e la tengono sotto sorveglianza a causa delle condizioni sociali alle quali i figli sono obbligati ad assoggettarsi. La sua unica oasi di libertà è cantare (col karaoke) in qualche pub e dimenticare per qualche momento la sua situazione. Non è più giovane, non è più avvenente, reagisce col turpiloquio e con aggressività a qualsiasi minaccia al suo piccolo mondo familiare in precario equilibrio tra quiete e tempesta.

Questa sua passione le ha causato guai molto seri: una sera, ha lasciato i suoi quattro figli, minorenni, soli in casa, per recarsi a cantare in un pub vicino. Un incidente domestico provoca un incendio che quasi costa la vita ad uno dei suoi figli. Un grave errore, diciamolo subito, che segna l’inizio di una via crucis con l’ufficio che si occupa della tutela dei minori. Il figlio, infatti, le viene tolto. Il dolore che prova questa povera donna è indice della sincerità dei suoi sentimenti ma non è argomento sufficiente per convincere i giudici a lasciarle i figli.

La vita ha tolto quasi tutto a Maggie, un po’ per colpa sua e un po’ per la sua situazione di svantaggio sociale. Ma se ci mettessimo a cercare colpe o colpevoli, finiremmo fuori strada. A Loach interessa mostrare quanto una donna, venutasi a trovare in condizioni di indigenza, debba soffrire per ottenere un sacrosanto diritto e cioè quello di stare con i propri figli e di farli crescere, anche se con l’aiuto dei servizi sociali. Nel contempo, mostra quanto un servizio sociale, ritenuto tra i più avanzati, denunci vistose manchevolezze e un atteggiamento freddo, asettico, legalmente corretto ma umanamente insufficiente. A cosa serve, sembra dirci Loach, assicurare sulla carta piene garanzie e pieni diritti a figli, se, per ottenere questo li si strappa dal loro ambiente, li si fa adottare (eventualmente)da sconosciuti, si creano terribili problemi ai genitori (in specie alla madre). Non che da noi le cose vadano molto meglio: le cronache riportano spesso casi come questi. Spesso, a servizi sociali perfetti dal punto di vista organizzativo e legale, non corrisponde un altrettanto perfetto ( ma basterebbe anche solo la parola “discreto”) atteggiamento di disponibilità, di calore umano, di solidarietà e comprensione da parte di coloro che sono chiamati a svolgere un ruolo così delicato.

Quando i servizi sociali vengono percepiti come “nemici”, viene a mancare il presupposto fondamentale della loro funzione, che è quella di supporto e aiuto alle famiglie in situazione di disagio.

Maggie ama i propri figli e il suo amore sincero dovrebbe essere motivo di riflessione da parte delle autorità prima di prendere decisioni così traumatiche. Forse non è la madre perfetta, principalmente perché non riesce a stabilire legami affettivi durevoli con i propri partner per colpa sua ma anche  di compagni violenti o inadatti. Il tutto in un ambiente sociale degradato, difficile, dove le difficoltà economiche condizionano comportamenti e relazioni umane affettive e non.

La storia con Jorge, clandestino paraguayano, sposato, con cui il film inizia, è l’ennesimo tentativo di ricreare un ambiente familiare che finora si è sempre rivelato fallimentare. Il desiderio di avere ancora dei figli, il coraggio e la forza che Maggie rivela di possedere, sono gli elementi chiave di un quadro  sincero e autentico (il film è tratto da una storia vera) di una donna straordinaria.

L’ambientazione, il contesto sociale degradato, la difficoltà quotidiana dell’esistenza delle persone in situazione di disagio, le ingiustizie e i problemi di un sistema che, dopo la “cura” Thatcher e il declino economico, comincia a mostrare preoccupanti segni di tenuta del welfare, sono mirabilmente tratteggiati da un grande regista ancora in grado di colpire nel segno.

 

 

 

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