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Malcolm X

Regia di Spike Lee vedi scheda film

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La recensione su Malcolm X

di cheftony
6 stelle

“Dai tempi dello schiavismo, i padroni degli schiavi davano ai neri, ai cosiddetti negri, il loro cognome per stabilirne la proprietà. Il molto onorevole Elijah Muhammad c'insegna che una volta conosciuta la religione islamica e dopo aver conosciuto se stessi, dobbiamo sostituire il cognome da schiavi con una X. La X in matematica rappresenta l'incognita. E, dato che siamo stati sradicati, tagliati fuori dalla nostra storia, dal nostro passato, dalla nostra cultura, dalla nostra terra, usiamo la X, l'incognita, finché non torneremo nella nostra terra.”

La quarantennale vita di Malcolm Little (Denzel Washington) si snoda attraverso una lunga serie di rivoluzioni e avvenimenti: soprannominato 'Big Red' per via della capigliatura rossiccia, Malcolm è un giovane afroamericano originario del Nebraska ma trasferitosi a Boston a trascorrere una giovinezza irrequieta, fatta di danze, bugie, furti, truffe, agghindamenti da uomo bianco, droga.
Lo stile di vita da sbandato non è che il modo ingenuo di dare una forma al senso di ribellione innato di un nero americano degli anni '40, figlio di perseguitati dal Ku Klux Klan e discendente di schiavi.

Ma non è più il tempo dell'ingenuità quando Malcolm conosce il carcere, condannato a otto anni come l'amico Shorty (Spike Lee): dietro le sbarre diventa proselita del detenuto Baines (Albert P. Hall), a sua volta fedele devoto all'organizzazione nazionalista nera Nation Of Islam e ai suoi rigidi dettami, incarnati dalla figura autoritaria di Elijah Muhammad (Al Freeman jr.). Malcolm ripudia il suo cognome diventando Malcolm X, si converte alla religione musulmana e concepisce finalmente quale sia la strada da percorrere per la popolazione di colore degli Stati Uniti.

Una volta uscito di galera, Malcolm diventa una delle figure più in vista del NOI, tanto da essere temuto dai suoi stessi vertici. Se da una parte riesce a spingere molti afroamericani ad una reale presa di coscienza del problema razziale americano, dall'altra si crea molti nemici con dichiarazioni inopportune, integraliste quando non del tutto razziste e teocentriche, emergendo come un emblema di unione e al contempo di inconciliabilità.

Il pellegrinaggio a La Mecca, da musulmano osservante, gli apre definitivamente gli occhi: Malcolm X abbandona alcune sue posizioni estremiste, si riappacifica parzialmente con Martin Luther King e con la razza bianca e, abbandonato il NOI perché in posizione conflittuale col tirannico Muhammad, fonda un proprio ambizioso movimento nel 1964, la Organization of Afro-American Unity. Ma, proprio sul più bello, il tragico epilogo è ormai vicino...

Monumentale ricostruzione biografico-pedagogica, “Malcolm X” è un film nato per ricordare in maniera il più fedele possibile una figura che il regista Spike Lee sente evidentemente vicina a sé come poche altre, non fosse altro per la natura assai controversa che li accomuna. Di origini borghesi come Martin Luther King, Lee eppure sembra condividere l'irruenza del Little proveniente dal ghetto e ancora “marchiato” da secoli di schiavitù e razzismo, tanto da esagerare con certe esternazioni in chiave cospirazionista (si contrappose al regista bianco Norman Jewison per la direzione del film in maniera assai poco elegante, per capirci), quasi a voler ancora lottare ogni secondo per mantenere le conquiste ottenute dai movimenti rivoluzionari neri negli anni '60.
L'obiettivo del film, d'altronde, non è poi tanto diverso: Spike Lee cerca infatti di far andare a braccetto un messaggio forte e una fulgida e variegata messa in scena, grazie ad un gran bel comparto tecnico fra fotografia (Ernest Dickerson) e colonna sonora e alla maestosa prova recitativa di Denzel Washington, ma quando il materiale fra le mani è cospicuo c'è il caso che qualcosa sfugga.
E infatti “Malcolm X” ha dei grossi difetti da evidenziare, a partire dalla narrazione troppo ricca di alti e bassi nelle sue tre ore e passa di durata, per quanto la sua ideale suddivisione in quattro fasi di vita, corrispondenti ai quattro paragrafi di cui sopra, aiuti in qualche modo la scansione, anche per merito delle azzeccate e diversificate scelte nell'uso dei colori: sfavillante e variopinto l'inizio, grigia e blu opaco la parte carceraria, marrone la parte di redenzione. Ma il vero problema del biopic di Lee è piuttosto un tono retorico che alla lunga è fastidioso, soprattutto se non si è pieni sostenitori delle idee del Malcolm X predicatore, e che lo rende un film cult di afroamericani e per afroamericani (nonostante la presenza nel finale di Nelson Mandela vada a riallargare furbamente i confini). Vale a dire, un film e una ricostruzione limitati, unidirezionali, acritici.

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