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Bersagli

Regia di Peter Bogdanovich vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Bersagli

di chinaski
7 stelle

Corman fu molto chiaro con Bogdanovich. Il film sarebbe stato di circa ottanta minuti, di cui venti con Boris Karloff, altri venti presi dal suo La maschera di cera e infine quaranta minuti girati con altri attori. Bogdanovich si mise subito a scrivere la sceneggiatura, cercando di collegare i vari elementi che aveva a sua disposizione per amalgamarli in una storia coerente. Aveva cinque giorni e cinque notti per lavorare con Karloff, il resto se lo sarebbe dovuto inventare. Grazie all’aiuto e ai consigli di Samuel Fuller (non accreditato) la sceneggiatura assunse la sua forma definitiva e Bogdanovich potè iniziare le riprese.

 

Boris Karloff

Bersagli (1968): Boris Karloff

    

Il film si apre con le sequenza finale della Maschera di cera, poi si accendono le luci e ci ritroviamo nella sala dei giornalieri, dove un produttore sta visionando il film con Karloff  (il cui personaggio si chiama Byron Orlok) e cerca di convincerlo a lavorare con lo stesso Bogdanovich (che interpreta il personaggio di Sammy Michaels). Sin dall’inizio Bogdanovich struttura la parte riguardante Karloff (e lui stesso) in una storia fortemente metacinematografica. La finzione rispecchia semplicemente la realtà, Karloff è un vecchio attore, Bogdanovich un giovane regista e il possibile film che possono fare insieme non è altro quello che realmente stanno girando. Nella finzione Orlok sente che il gusto degli spettatori è cambiato, che i suoi personaggi vittoriani sono ormai sorpassati e che è inutile che egli continui a recitare in film di questo tipo. Sammy gli offre un nuovo copione, un personaggio umano, lontano dalle sue solite interpretazioni. Orlok non sembra interessato. In una sequenza Orlok aprendo un giornale mostra a Sammy il nuovo orrore, quello della società contemporanea. Un titolo riporta l’omicidio da parte di un uomo di alcune persone. Mentre la parte con Karloff, come dicevo, è squisitamente metacinematografica, l’altra metà della storia si immerge proprio nel presente storico  del tempo (1968) mostrandone alcune delle deformità. Non a caso Bogdanovich per costruire il personaggio dell’altro protagonista, un ragazzo di nome Bobby Thompson (interpretato da Tim O’Kelly) prese spunto proprio da un fatto di cronaca: la strage che fece Charles Whitman sparando da una torre di una università del Texas. La storia parallela a quella di Sammy e Orlok è dunque quella di un ragazzo che passa dalla sua apparente normalità ad una lucida follia omicida. Attraverso la fascinazione fatta dalle armi su di lui, Tim si trasforma in un killer alla ricerca di bersagli (targets) umani, vivi e in movimento. Un killer che non si accontenta più di sparare a dei semplici barattoli. In una foto nella casa di Tim lo vediamo con un fucile in mano e la divisa dell’esercito. Tim è un reduce del Vietnam, la sua bravura con le armi non è improvvisata ma frutto di un addestramento. Questo piccolo particolare rimanda a un fuori campo storico dove la guerra del Vietnam trova la sua collocazione come possibile matrice dei problemi che affliggono il ragazzo e più in generale la società americana.

 

Tim O'Kelly

Bersagli (1968): Tim O'Kelly

    Bogdanovich fa scorrere le due storie in maniera parallela e gioca molto abilmente sui vari raccordi visivi che permettono di passare da una vicenda all’altra. Per esempio il primo raccordo ci mostra Orlok all’interno del mirino di un fucile. Poi un’inquadratura dell’occhio del ragazzo, del suo dito sul grilletto e infine un piano americano che lo ritrae all’interno di un’armeria. E’ Tim che sta provando un fucile, non molto lontano da dove si trovano Sammy, Orlok e la sua segretaria. Inoltre, sempre a livello filmico, Bogdanovich utilizza il colore come strumento di caratterizzazione delle due vicende. Nelle sequenze con Orlok i colori sono sempre caldi (giallo, rosso, beige, marrone) mentre nelle sequenze con Tim i colori sono freddi (bianco, blu). In questo modo il regista riesce attraverso due semplici metodi (il lavoro sui raccordi visivi e quello sul colore) a mantenere le due storie autonome e parallele e allo stesso tempo sempre sul punto di intersecarsi. Un altro lavoro molto accurato viene fatto sulla sceneggiatura, che costituisce il referente primario della realizzazione del film. Bogdanovich lavora da subito in una maniera “classica”, seguendo quei metodi di realizzazione di quei grandi registi che tanto adora. Poco o niente è lasciato all’improvvisazione.

    Bogdanovich, inoltre, non perde occasione per mostrare il suo gusto cinefilo e i sui trascorsi di critico cinematografico. In una sequenza troviamo Orlok e Sammy che stanno guardando un film alla televisione. Il film è Codice penale di Hawks con lo stesso Karloff in uno dei suoi primi ruoli importanti. Sammy, davanti alla televisione, parla con affetto del film. La maschera del personaggio per un attimo si sposta e la passione di Bogdanovich per il cinema si riversa nello schermo. In un’altra sequenza, poi, ci viene mostrata una cabina di proiezione dove assistiamo al caricamento della bobina sul proiettore e al suo funzionamento. Debito omaggio, anche questo, al mondo della celluloide.

 

Tim O'Kelly

Bersagli (1968): Tim O'Kelly

 

     Nello spettatore, intanto, inizia a sorgere il dubbio se le due storie a cui sta assistendo troveranno mai un punto d’incontro. Bogdanovich riserva per il finale questa sorpresa. L’incontro ci sarà e il luogo deputato per questo momento non poteva che essere più appropriato, ovvero un drive-in. Troviamo infatti Tim nascosto dietro un enorme schermo cinematografico. Precedentemente aveva già ucciso delle persone su un’autostrada, sparando dalla cima di alcuni enormi serbatoi. Nel drive-in stanno proiettando un film con Orlok/Karloff (la onnipresente Maschera di cera). Tim, appostato dietro lo schermo, grazie ad un buco presente su quest’ultimo, inizia a sparare agli spettatori seduti dentro le loro macchine. L’orrore dello schermo inizia a confondersi con l’orrore della realtà. Bogdanovich inizia a mostrarci le varie persone che cominciano a morire, uccise dai proiettili come fossero burattini. Tecnicamente il regista utilizza lo zoom per mostrare la velocità del proiettile che colpisce il suo bersaglio. Anche Orlok arriva al drive-in (per una premiazione) e dopo che la sua segretaria viene ferita si accorge da dove il ragazzo sta sparando e gli si avvicina. Tim nel frattempo, anche a causa dell’arrivo della polizia, scende da dove si era arrampicato e così facendo perde la sacca con i proiettili e le armi che si era portato dietro. Una volta sceso, Tim, si accorge della presenza di Orlok e cerca di sparargli, mancando però il bersaglio. Specularmente vede lo stesso Orlok anche sullo schermo (la proiezione sta continuando nonostante tutto) e spara anche all’immagine. Poi i proiettili finiscono, Orlok si avvicina a Tim e con una bastonata lo disarma, sopraggiunge la polizia e il ragazzo viene arrestato.

 

Tim O'Kelly

Bersagli (1968): Tim O'Kelly

 

    Bogdanovich costruisce l’intera sequenza filtrandola attraverso il suo gusto prettamente cinematografico. La realtà diegetica si sdoppia nel mostrare l’orrore in due modi diversi. Da una parte quello appartenente al metacinema, del film nel film, un orrore di cui Orlok è stato uno dei maestri. Un orrore codificato in un genere (l’horror) che, all’epoca, ancora si limitava alla sua funzione di semplice intrattenimento. Dall’altra parte un orrore “reale”, di un ragazzo che decide di uccidere e lo fa in maniera fredda e distaccata. Realtà e finzione si amalgamano insieme e nel mostrale Bogdanovich riflette sui cambiamenti che la sua società e il cinema stanno subendo. Non è un caso, infatti, che l’uomo sparì da dietro uno schermo, potremmo interpretare questa scena come una previsione (molto giusta) di quello che sarebbe stata l’evoluzione della violenza nei film proprio a partire dalla fine degli anni sessanta. Sempre meno filtrata e sempre più esplicita si arriverà ad un punto in cui pur di “colpire” lo spettatore la violenza verrà mostrata in tutta la sua spettacolarità, staccandosi da qualsiasi codificazione artistica o motivazione psicologica. Una violenza che la stessa società americana stava conoscendo molto bene, sia con quanto succedeva nel Vietnam, ma anche attraverso gli scontri razziali che avvenivano in alcune città del Paese. Una violenza che avrebbe portato, molto presto, dopo la fine delle riprese di questo film all’uccisione di Martin L. King e Robert Kennedy. Targets risulta essere quindi una duplice riflessione sul mondo del cinema e sulla società fatta attraverso tutti quei legami che corrono tra questi due mondi (quello illusorio del cinema e quello “reale” della società) e anche se al botteghino i guadagni furono praticamente nulli, questa pellicola regala a Bogdanovich quella visibilità necessaria per continuare la sua carriera di regista.

 

Questa recensione è tratta dalla tesi di laurea del Dottor Chinaski (2006) dal titolo:

"LA RINASCITA DI HOLLYWOOD: LA FIGURA DEL REGISTA TRA MERCATO E ARTE"

 

https://operationjulie.blogspot.com

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