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Nosferatu a Venezia

Regia di Augusto Caminito vedi scheda film

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La recensione su Nosferatu a Venezia

di alan smithee
5 stelle

PERSI A VENT’ANNI AL CINEMA….RECUPERATI TRENT’ANNI DOPO… IN RETE.

Nella Venezia dei giorni nostri, una giovane nobildonna, Helietta Canins (Barbara De Rossi) convoca nel suo palazzo nobiliare a ridosso della Laguna, un esperto di vampirismo inglese, prof. Paris Catalano (Christopher Plummer), affinché costui accerti le origini di un sepolcro che da secoli giace nelle cantine della regale dimora, e per sfatare il mito popolare secondo cui in quella casa sono custodite non tanto o solo le spoglie di una discendente vittima dell’efferato leggendario vampiro Nosferatu, bensì quelle dello stesso essere demoniaco.

Senonché costui, evocato in occasione di una seduta spiritica, riappare in carne ed ossa tra le calli lagunari, costringendo lo studioso, assieme ad un medico amante della nobildonna (Yorgo Voyagis) e ad un prelato (Donald Pleasence), ad affrontare con tutte le tecniche e forze comuni, quella minaccia di proporzioni diaboliche e sovrannaturali.

Il fascino, le nebbie, gli sfondi veneziani fanno molto e contribuiscono a rendere assai ammaliante la presenza scenica di un Klaus Kinski che torna, dopo l’eccelsa prima interpretazione col capolavoro di Herzog, ad interpretare il celebre vampiro.

La produzione tutta italiana risulta afflitta da vicissitudini e tormenti in linea e perfetta coerenza con la maledizione legata al satanico efferato ma anche poetico personaggio: Augusto Caminito, produttore  di una certa fama, subentra in regia dopo una prima avventura nello stesso anno  proprio assieme a Kinski (Grandi cacciatori, forte pure questa di un notevole cast di nomi internazionali), a seguito dell’abbandono del set da parte di Mario Caiano (scontratosi con Kinski, noto per le sue bizze ed il suo carattere intrattabile su ogni set), affidandosi, per alcune riprese, all’aiuto dei registi Luigi Cozzi e Maurizio Lucidi, ufficialmente non accreditati nei titoli.

L’esperimento, curioso ed appetitoso, in odore già preventivo di scult, si fa forte dell’ambizioso cast internazionale e della pregevole ambientazione, divenendo entrambi gli inevitabili punti di forza – ma anche i limiti – di tutta la produzione, originale e pure coraggiosa, quasi sfrontata se si tiene conto della valenza artistica dell’opera originaria di Herzog: una produzione che non rinuncia a momenti kitch (la Venezia del passato rappresentata un po’ tanto semplicisticamente come tutta feste in maschera ed epidemie di peste) e che ha l’ardire di variare, nella rappresentazione del vampiro, la struttura dentale dello stesso: questa volta non sono i canini a sventrare il collo delle vittime per lacerarne le vene, ma i due incisivi. Effetto scenico insolito, un po’ interessante, un po’ ridicolo, che tuttavia lo charme maledetto di un Kinski invecchiato e acciaccato ma mai domo, riesce a gestire con estrema dignità.

Con una certa coerenza, il film fu presentato come evento fuori concorso di Mezzanotte alla Mostra del cinema di Venezia, ove tuttavia ricevette più stroncature che plausi.

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