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Sette note in nero

Regia di Lucio Fulci vedi scheda film

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La recensione su Sette note in nero

di Antisistema
8 stelle

Un taxi giallo, uno specchio rotto, una stanza rossa, un mobile, una rivista, il motivetto di un orologio, una sigaretta in un posacenere, un uomo con i baffi zoppicante, un omicidio di una donna anziana ed il suo cadavere occultato in una nicchia che viene murata; mettere insieme le visioni della parapsicologa Virginia (Jennifer O'Neil), dando a queste immagini un costrutto razionale ed una cronologia nei rapporti di causa-effetto, porterebbe alla risoluzione del labirintico caso, riguardante un corpo oramai ridotto a scheletro identificato nella scomparsa venticinquenne Agnese Bignardi, ritrovato dalla donna dopo aver sfondato il muro in una grande residenza di campagna, che Virginia voleva ristrutturare. L'uscita da questo intricato labirinto mentale può comportare la soluzione del giallo, in cui è sospettato principale il marito della protagonista, Francesco Ducci (Gianni Garko), poichè l'uomo era l'amante della Bignardi, il cui corpo essendo stato trovato nella sua villa, lo rende automaticamente il principale sospettato dell'omicidio che sembra poter essere avvenuro nel 1972 stando ai rilievi della scientifica. 

Lucio Fulci è stato un uomo ed un regista molto sfortunato in vita, sottovalutato dalla critica e rivalutato seriamente solo dagli anni 90' in poi, dagli anni 70' in poi cominciò a dedicarsi sempre più esclusivamente al thriller-giallo per poi approdare all'horror, seppur nella sua carriera abbia girato ogni genere possibile, ma nella miseria dei suoi budget e nella sofferenza di venire etichettato come un banale emulo in salsa gore e truculenta di Dario Argento, il regista in realtà ha sempre cercato di trovare nei suoi film una via originale rispetto a quella del cineasta romano, immergendo i suoi thriller con elementi fantastici ed in un'atmosfera onirica sin dai tempi di Una Lucertola con la Pelle di Donna (1971), estremizzando tale stile con questo Sette Note in Nero (1977), toccando uno degli apici della sua filmografia, grazie ad una sceneggiatura molto più centrata della media dei film di serie B e coadiuvato dalla fotografia del suo collaboratore storico Sergio Salvati, immerge la vicenda in un'atmosfera onirica, arrivando all'eccesso di zoom, inquadrature flou e primi piani sul viso di Jennifer O'Neil, rompendo e scardinando talune regole del thriller-giallo, puntando ad una risoluzione della vicenda che può trovare risposta solo mettendo insieme le visioni scaturite dalla donna, che soffre di ciò sino dall'infanzia, come possiamo vedere nel prologo in cui da bambina riesce a "vedere" il suicidio della madre, nonostante quest'ultima fosse in inghilterra, mentre lei era in gita con la scuola a Firenze. 
Il piano di Fulci qui diventa più cerebrale e meno soggetto agli eccessi splatter di altri suoi lavori, peccando solo nel prologo iniziale con quel ridicolo pupazzone inquadrato in primo piano, per rappresentare il suicidio della madre di Virginia, indugiando in modo troppo prolungato sulle ferite scaturite dallo sfracellarsi del corpo contro la parete rocciosa durante la caduta, rivelando così eccessivamente la finzione, perchè per il resto è una pellicola che dosa l'uso del sangue, per concentrarsi invece sul meccanismo narrativo onirico. 

 

 

Fulci mette insieme i vari pezzi del puzzle delle immagini, che sembrano trovare riscontro nella realtà per giungere così sempre più vicino a far uscire dal carcere Francesco, ma a metà film dei dubbi si insinuano nella mente della donna sempre di più, perchè alcuni particolari non combaciano con i fatti riscontrati, dacchè in modo nefasto per le aspettative dello spettatore che avrebbe dovuto essere invece tenuto all'oscuro di questo dettaglio; Luca Fattori (Marc Porel), psicologo ed amico di Virginia, insinua dei sospetti in merito al piano temporale in cui avvengono le visioni della donna, gettando una luce più inquietante e sinsitra, sulle immagini riportate dalla protagonista, poichè sarebbe stato molto meglio che lo spettatore avesse scoperto questo particolare insieme a Virginia, senza una persona terza che insinuasse nella mente tale dubbio. 

Se la sorpresa del piano temporale dell'avvenimento dei fatti è stata rovinata dagli sceneggiatori in modo maldestro a metà dell'opera,  con un montagio che un paio di volte ripete il medesimo indizio focalizzandosi sulla data di pubblicazione della rivista, fortunatamente l'opera riserva altri assi nella manica riguardanti l'interessante riflessione filmica sul soggetto pensante da cui sono scaturite tali visione e l'ineluttabilità dei fatti che avvengono in modo meccanico, senza che Virginia abbia alcun potere in merito al proprio destino, nè la capacità di sottrarsi a questo determinismo temporale che scorrere inesorabile, essendo destinata a vivere immagine dopo immagine la realizzazione di ciò che aveva visto, giungendo ad un magnifico finale che invece ribalta tutta l'atmosfera precedente giungendo ad uno schema più classico per il genere, confermando come fosse azzeccata per Lucio Fulci la definizione di "terrorista dei generi" non solo per lo shock che provocava nello spettatore inserendo stilemi personali per provocare uno shock nello spettatore, ma anche la capacità di ribaltare toni e stili nel giro di poche inquadrature, senza forzatue sulla qualità del film.

Sette Note in Nero vive di piccoli dettagli inquadrati abilmente dl regista, che verranno a collegarsi tra loro, regalandoci un ottimo thriller un pò paranormale, che non vuole cercare essere realistico, optando infatti per una messa in scelta smaccatamente onirica ed irreale, costruendo una struttura narrativo-stilistica eccessiva ed estremamente personale senza per questo risultare ridicolo, giungendo ad un finale che come suo solito risulta essere aperto, circolare e sopratutto cinico. 

Dispiace leggere ancora oggi di certa critica ufficiale che snobba tale pellicola, dando insulse valutazioni come le 2 stelline da parte di Morandini e Mereghetti, incapaci di vedere gli elementi di valore di un'opera che parte si da un paio di spunti presi da Profondo Rosso di Dario Argento (1975), ma subito se ne distacca per cercare una propria identità, come quasi sempre accadeva con le opere di Fulci. 

 

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