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La corsa dell'innocente

Regia di Carlo Carlei vedi scheda film

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La recensione su La corsa dell'innocente

di OGM
7 stelle

Toccare il cuore. Senza strappare inutilmente le lacrime. Senza calcare sui toni buonisti. Sembra questa la missione principale del thriller di Carlo Carlei, che  parte da un registro televisivo per operare una divulgazione concreta, forte ed onesta di un’antica idea della verità. Si usava dire, un tempo, che questa uscisse dalla bocca degli innocenti. Ma qui il punto non è la distinzione tra la sincerità e la menzogna. In ballo c’è qualcosa di molto più importante, in nome del quale può essere lecito, e perfino opportuno, ricorrere alla bugia, all’inganno, a vari trucchi usati a fin di bene. Vito Putortì è un bambino calabrese. È l’unico sopravvissuto alla strage della sua famiglia, avvenuta nel quadro di un regolamento di conti tra bande rivali. Suo padre era un capo dell’Anonima Sequestri. Al momento della tragedia, suo fratello maggiore teneva in ostaggio Simone Rienzi, un coetaneo di Vito, rapito a Siena e detenuto in una grotta dell’Aspromonte. La storia esordisce nel sangue, e prosegue con la crescente tensione che accompagna un ragazzino rimasto solo, costretto a fuggire da spietati criminali che lo cercano per ucciderlo. Vito è astuto, ma, soprattutto, è coraggioso. Questo tratto del suo carattere è certo funzionale al racconto, che non potrebbe evolvere in un avventuroso inseguimento ricco di colpi di scena, se il piccolo protagonista non riuscisse, con abili slanci di immaginazione, a sottrarsi ripetutamente ai suoi potenziali assassini. L’ingegno del narratore va di pari passo con la fantasia del bambino, che non smette di inventarsi nascondigli e stratagemmi per salvare la pelle; tuttavia il raffinato meccanismo non è fine a se stesso, perché, attraverso lo strumento popolare della suspense, fa deviare impercettibilmente il discorso dal solco del sensazionalismo romanzesco, per condurlo, con efficacia e delicatezza, verso il pensiero finale: un’espressione di speranza nell’infanzia come risorsa che già oggi, con le sue mani minute,  può cominciare a cambiare il mondo.  L’eroismo necessario a sfidare il male non è una virtù innata, né riservata a pochi, perché – e questa vicenda ce lo dimostra – è una forza che si scopre e si costruisce strada facendo, via via che gli eventi accaduti, le persone incontrate, le parole sentite chiariscono, insieme alla drammaticità della situazione, l’insieme delle regole del gioco.  Vito viene scelto per insegnarci ciò che ha appena imparato: è un maestro qualificato perché fresco di apprendimento, e per di più  reduce da uno studio duro e continuo, effettuato sul campo, a contatto diretto con le peggiori insidie della vita. Ha superato tutte le prove, con la furbizia e con la determinazione, anche se, quasi sempre, sotto la spinta di un naturale terrore. Ha capito che l’unico modo per sconfiggere la paura è osare, e, per cavarsela, è essenziale fidarsi solo di se stessi. Poter contare solo sulle proprie energie è una palestra che irrobustisce anzitutto la coscienza, la cui voce risuona, con particolare potenza, proprio nell’animo dei più indifesi. La corsa dell’innocente raggiunge il suo culmine morale lungo un viaggio a perdifiato in cui la grazia combatte ad armi pari con la crudeltà più efferata; e contribuisce, con morbidezza e candore, all’incisività di un messaggio   che non è utopico né retorico, perché ci colpisce con l’arma, genuina ed universale, del puro e semplice stupore. 

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