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Nick mano fredda

Regia di Stuart Rosenberg vedi scheda film

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La recensione su Nick mano fredda

di EightAndHalf
8 stelle

Mai una trasformazione tanto insensata di una versione italiana di un film, che qui ha cambiato il nome del protagonista da Luke a Nick, è entrata mai, a livello sonoro, melodioso, nell'immaginario del cinema. "Luke mano fredda" forse sarebbe suonato diverso, o forse no, forse gli anni, che rendono i film classici e leggende, l'avrebbero reso musicale e affettivamente memorabile come l'attuale titolo italiano. A prescindere da questo, sarà sempre (almeno per noi italiani) più naturale riferirsi al Paul Newman del film di Rosenberg con il nome di Nick, perché è "Nick, mano fredda nel gioco e mente fredda nella vita", perché è un personaggio misterioso, affascinante eppure tanto semplice da rimanere impresso nella memoria. Con toni assolutamente non invecchiati, Rosenberg riprende il genere carcerario che ha avuto tra i suoi più grandi percursori I Am a Fugitive from a Chain Gang del 1932 e poi La grande fuga nel 1963, per non parlare di certe pellicole francesi anni '30 e '50, riuscendo a coinvolgere e a far riflettere attraverso la costruzione del microcosmo di una prigione del centro America, tra le tipiche aride steppe e le sterpaglie boscose di certi Stati degli Usa ricorrenti in film del genere. La familiarità con l'ambientazione è fondamentale per indicare improvvisamente il carattere innovativo della pellicola, che cerca umanità quasi costruttiva ed edificante tra dei carcerati tutti mostruosamente umani, privi di stereotipi o banalità psicologiche, ma ricchi di vivacità, di capacità di commuoversi e di grande frustrazione (virile e mentale). Il carattere edificante che svolge il personaggio di Nick non va però inteso nell'accezione limitata e negativa con cui può intendersi il termine "edificante", ma nella maniera positiva e lungimirante, ovvero alla luce di quella straordinaria coerenza, seria e al limite dell'intimismo, che Cold Hand Luke riesce a possedere e che normalmente, nelle pellicole carcerarie del passato, era scavalcata da intenti narrativi di semplice intrattenimento o di semplice accusa (senza nulla togliere al film di McCarey, capolavoro di graffiante attualità, né al film di Preston Sturges). La lotta (per la sopravvivenza e) per la libertà di Nick è un paradosso esistenziale che non cerca nulla, che non vuole accettare il nulla deprimente che lo circonda sia nell'arido carcere sia nella vita di tutti i giorni, di cui conosciamo solo il rapporto con la madre. Il personaggio riesce così ad essere inquadrato in moltissime sfaccetature senza necessariamente essere rappresentato direttamente nelle sue normali azioni, ma anzi, si tinge di mistero e di ambiguità già a partire dalla ragione della sua incarcerazione, lo svitamento (da ubriaco) delle teste di alcuni parchimetri. Di fronte a tanto tedio di vita, Nick riesce a dare un senso alla sua esistenza facendosi rinchiudere e poi fuggendo, specie dopo la morte della madre (apparizione breve e straziante), facendosi catturare e poi fuggendo di nuovo, in un circolo vizioso sempre più sconclusionato e insoddisfaciente proprio perché sempre più privo di via d'uscita. L'obbiettivo di Nick rimane la fratellanza con i suoi compagni di cella (Kennedy su tutti, anche se si fa notare anche un giovane Dean Stanton), a cui pensa immediatamente e a cui manda una cartolina finta, un foto montaggio, che lo vede avvinghiato a due donne che stuzzicheranno le voglie dei carcerati. Tanta umanità volta al nulla, filtrata attraverso un cinema hollywoodiano doc, raramente si era vista precedentemente, e ha permesso la creazione di un carattere particolarmente moderno, che avrà le sue evoluzioni in successive pellicole. 
Eppure in Nick mano fredda forse scorre un po' di anzianità, un po' di usura dovuta allo scorrere degli anni, e che lo pone a confronto con altri film magari non carcerari ma che guardavano a personaggi ufficialmente "negativi", ma per cui parteggiavamo. Se qui il personaggio è spinto dalla ricerca di un'impossibile catarsi, altri personaggi, dai Bonnie e Clyde di Penn alla sanguinaria di Joseph H. Lewis (quindi non di film carcerari), erano sfacciatamente più negativi, senza scrupoli, crudeli, talmente tanto da mettere in dubbio la validità della morale, che qui rimane intaccata. Forse quel carattere edificante, che non escludeva una grande carica innovativa, costituisce anche il limite principale di Nick mano fredda, limite che però sfigura di fronte a tanta attenzione ai ritmi, ai personaggi, alle pulsioni vitali, alle sequenze commoventi che spesso si succedono realistiche e condivisibili (Paul Newman che canta dopo la notizia della morte della madre), compatite, sincere. Quando si dice cercare l'ago in un pagliaio: il film di Rosenberg continua, nelle sue piccole imperfezioni (che oltretutto lo relegano quasi essenzialmente a un film di genere, seppur molto ben fatto), ad essere uno splendido gioiello della cinematografia americana, e ad essere imperdibile.

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