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Bersaglio mobile

Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film

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La recensione su Bersaglio mobile

di marcopolo30
5 stelle

Sergio Corbucci mette per un momento da parte il genere western e scrive e dirige un discreto (e un po' cupo) eurospy-movie ben ritmato e affascinante nelle scene di inseguimento sullo sfondo dell'Acropoli. Tara però il prodotto una trama eccessivamente arzigogolata.

Nel 1967 Sergio Corbucci aveva da poco ottenuto notorietà nell'allora florido campo degli spaghetti-western grazie a “Django“. Questo non gli impedì di dedicarsi con più o meno successo ad altri generi, cosa questa che depone certamente a favore del regista capitolino. In questo “Bersaglio mobile“, anno di grazia 1967, scrive (insieme a Franco Rossetti e Massimo Patrizi) e dirige un film di spionaggio jamesbondiano a tinte certamente più cupe di quelle a cui ci aveva abituano lo 007 Sean Connery. La storia si svolge interamente ad Atene e vede come protagonista Jason, affascinante ladro, truffatore e soprattutto mago delle evasioni, invischiato suo malgrado in una complicata storia di guerra fredda, microchips, doppi (e tripli e quadrupli) giochi e morti ammazzati. Il meglio che questo non troppo noto eurospy-movie ha da offrire è certamente il ritmo, che non fa mai difetto, e gli spettacolari inseguimenti sullo sfondo delle antiche rovine ateniesi. Altro punto a suo favore è Gordon Mitchell, a cui il ruolo di spietato cattivo di turno cala come un guanto. Tarano invece un po' il prodotto finale una trama a mio avviso eccessivamente arzigogolata e -all'altro estremo della scala- evasioni (del sopracitato mago delle fughe) un po' troppo facilotte. Primissima scena, ad esempio: scendendo dall'aereo, protagonista ammanettato e scortato, una gomitata al poliziotto, corro sotto il velivolo da cui sono appena sceso, mi dileguo nella notte e in un attimo mi ritrovo nel centro di Atene, free like a bird. Insomma, con tutto l'ingegno che c'avevano messo per scrivere una trama così ricca di colpi di scena, avrebbero ben potuto dedicare un po' più di cura a quelle evasioni che dovevano in teoria descrivere un carattere fondamentale del personaggio. Il volto al protagonista lo da Ty Hardin, resosi noto nei primi anni '60 grazie alla serie TV “Bronco” e famigerato, parecchi anni più tardi, per aver dato vita a un movimento antisemita nel sud degli Stati Uniti (il suo ruolo nella vicenda non fu mai del tutto chiarito, diamo a Cesare quel che è di Cesare). Nel complesso, non un film malvagio ma nemmeno uno dei titoli 'nobili' all'interno del CV di Sergio Corbucci.

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