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Nemico pubblico

Regia di William A. Wellman vedi scheda film

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La recensione su Nemico pubblico

di Raffaele92
8 stelle

Paradigma del gangster movie (insieme a “Scarface” di Hawks e “Piccolo Cesare” di LeRoy, che per il sottoscritto sono indubbiamente inferiori al film in analisi), ma c’è molto altro dietro: c’è tutta un’epoca, quella del proibizionismo e di quella Grande Depressione che ha lasciato i propri resti segnando un decennio. Ebbene sì, “Nemico pubblico” è (insieme ad “Accadde una notte” e pochissimi altri) uno dei film in assoluto più adatti per comprendere appieno gli anni ’30 che furono.

Al di là poi del contesto storico, si tratta di un’opera cinematografica quanto mai avanguardistica, radicale, seminale: rielabora i rimasugli del cinema muto creando sequenze di straordinaria bellezza (la sparatoria nell’ombra tra i due gangster e l’agente di polizia, con seguente magnifico primo piano della mano di quest’ultimo che giace sull’asfalto a fianco del cappello e con la pistola ancora in pugno) e inventando di fatto la violenza fuori campo (si vedano le sequenze dell’uccisione del cavallo e quella dell’uomo al pianoforte), espediente che contribuisce paradossalmente ad ampliarne l’efficacia e generando così uno stratagemma narrativo destinato a fare scuola.

Poi c’è tutto l’armamentario di uno dei generi che più di altri hanno fatto grande il cinema: la formazione nelle strade del futuro gangster, la sua ascesa, il tormentato legame di devozione con la famiglia, l’immancabile donna dal fascino sublime, l’inevitabile tragica caduta. Tutta la parte finale dedicata a quest’ultima è da manuale: la bellissima sequenza sotto la pioggia, il finale sublime quanto straziante del “ritorno a casa” di Tommy, vero e proprio momento shock cui segue l’intuizione geniale del giradischi che si ferma e del fratello che si avvicina verso la telecamera barcollando.

In sostanza, “Nemico pubblico” è un compendio di sequenze passate alla Storia del Cinema che “sparate a raffica” l’una dietro l’altra in soli ottanta minuti. E non si può certo tacere quella della birra servita in famiglia durante un furioso pasto, quasi a simboleggiare un male che – elegantemente quanto rovinosamente – si diffonde silenzioso. Né possiamo non menzionare quella, famosissima, del pompelmo che Cagney schiaccia in faccia alla sua ragazza: la brutalità di tale attimo, che oggi parrebbe incomprensibile, all’epoca si rivelò sconcertante.

Poi ovviamente c’è lui: James Cagney, materializzazioni fisiche delle potenzialità del cinema, elemento dominante di un immaginario, uomo piccolo, feroce, ghignante, in grado di bucare lo schermo con uno sguardo. Ogni opera che avrebbe avuto in futuro l’onore di ospitarlo nel proprio cast ne sarebbe risultata impreziosita. Trattasi innegabilmente dell’icona di un’epoca, come lo sarebbe stato Humphrey Bogart poco più avanti assieme a pochissimi altri in grado di rientrare in tale sommo rango.

In definitiva, un classico da mostrare nelle scuole di cinema, con riferimento al quale orde di grandissimi registi hanno preso appunti su appunti (Scorsese in primis).

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