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Full Metal Jacket

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Full Metal Jacket

di maso
9 stelle

 

 

 

 

Se si considera che il Vietnam movie è un sottogruppo del genere bellico che con il passare degli anni è diventato un filone a se stante non è sbagliato affermare che Kubrick in questa nuova impresa abbia posto il suo marchio rovente su qualcosa di inesplorato per lui fino ad allora, dopo i sette lunghi anni trascorsi da "Shining" e distante decenni dai soldati surreali di "Fear and Desire" e quelli più umani e amaramente martoriati di "Paths of glory".

Il risultato di "Full metal jacket" fu strepitoso e altisonante come mai prima di allora per un film di Kubrick che con un curriculum leggendario, un intervallo notevole dal suo ultimo film e l'alone divino di guru incorporeo che riusciva a eludere i giornalisti alla porta andando ad aprire e rispondendo -"Il signor Kubrick non è in casa!" - aveva creato un'attesa spasmodica per la sua uscita nelle sale in un periodo in cui il cinema era il punto di ritrovo fondamentale per le masse e il soggetto trattato ancora sulla bocca di tutti in seguito a pellicole epocali come "Il cacciatore" e "Apocalypse now".

Effettivamente il film aggiunge qualcosa di nuovo, e ci mancherebbe da un maestro del genere, ma è opinione di tutti che le due parti che lo compongono non abbaino la stessa valutazione in generale comunque elevatissima.

Matthew Modine è la recluta J.T. Davies in arte "Joker", nel 1967 è a Paris Island al corso di avviamento che lo porterà ad essere l'arma più potente della terra: un marine degli Stati Uniti d'America con il suo fucile che porta il nome di Mary Jane fica rotta.

Il primo tempo incentrato sull'apprendistato di Joker e il suo plotone sotto la guida del mitragliante sergente Hartman è la perfezione fatta cinema: ha un ritmo nel montaggio devastante condito da impennate di umore improvvise che toccano l'ironia tagliente di Kubrick, la bruttura della vita militare che può danneggiare la psiche di un individuo fin dalla sua erudizione perchè non tutti siam nati per essere soldati, l'orrore e la pazzia della guerra che disumanizza l'uomo ma allo stesso tempo unisce il soldato al commilitone che dorme sopra di lui sempre che sappia tenere il risvolto a dieci cm dalla cima del letto.

La padronanza di Kubrick è impressionante e la genialità di cambiare in corsa modificando una idea è caratteristica di pochi eletti: i suoi soldati danno l'addio alle canzoni dei Doors nei juke box con il taglio netto dei capelli che li porta dritti dritti nella camerata dove imperversa Lee Eremy, un mitragliatore umano che con la sua logorroica imposizione delle regole ha incantato Kubrick a tal punto da essere promosso sul campo, da istruttore per il ruolo a primo attore libero di improvvisare, una licenza che Kubrick concesse solo a Peter Sellers nella sua carriera.

Kubrick segue la macchietta del sergente Eremy da sotto il suo mento mentre impartisce le prime pallottole alle nuove leve, Biancaneve nero come Cassius Clay, Cowboy ovviamente texano, Joker integerrimo e sicuro di se e soprattutto "Gomer Pyle" o meglio "Palla di lardo" interpretato in maniera clamorosa da Vincent D'Onofrio, notevolmente ingrassato per la parte il bravo attore newyorkese spara in faccia a Hartmann un sorriso fondamentale per far capire a chi guarda Kubrick come la vede Kubrick.

Come fai a non ridere in faccia a un soggetto che parla in quella maniera e ti obbliga a strangolarti con la sua mano, Kubrick sottolinea come tutta questa facciata di regole ferree sia una buffonata imbastita su dei poveri cristi pronti a partire per ammazzare senza nessuna regola.

L'umorismo volontariamente involontario espresso da Hartmann emerge a più riprese, come quando durante un'ispezione gestita da Kubrick con un lento carrello a ritroso sulle reclute statuarie sopra la cassetta di ordinanza scorge la cassetta di Pyle con il lucchetto aperto ed esclama "MA CRISTO DI UN DIO PALLA DI LARDO: SE C'E' UNA COSA CHE NON SOPPORTO E' UN LUCCHETTO DI CASSETTA APERTO " non le corna della moglie a casa, non la figlia che mangia acidi come m&m's ma un fottuto lucchetto di cassetta aperto.

E' solo l'ultima delle debolezze di Pyle che nasconde una ciambella nella cassetta, da quel momento in poi ogni suo errore è una bega per il resto della truppa, Vincent d'Onofrio si contorce dopo il percorso di guerra, madido di sudore con i nervi piegati viene inseguito da Kubrick mentre insegue il plotone a braghe calate succhiando il dito o seduto mentre gli altri pompano flessioni.

Kubrick velocizza il ritmo con un rallenty sul percorso di guerra, rischiaccia il pedale con il carrello all'indietro sul plotone che canta in marcia "Crepi O Chi Min - Viva il corpo dei Marines", stoppa tutto con Hartmann che porta come esempio di grandezza per i marines due marines assissini, Charles Whitman di massa e Lee Oswald di J.F. Kennedy.....per citare Hartmann direi "Eccezzionale!"

Fissa poi il rapporto fra l'efficente Joker e l'imbranato Pyle che cerca di istruirlo al meglio ma le sue reiterate cappelle vengono punite in una notte cupa in cui tutto il plotone lo castiga con un atto violento.

E' Pyle ora che diventa protagonista, Vincent D'Onofrio con il suo viso da bambino di cento e passa kili è scomparso ed è nato il pazzo omicida con lo sguardo senza luce che spacca i bersagli e parla con il suo fucile di nome Charline.

Kubrick fa in tempo a far fare un'altra risata quando cita il soldato Puzza di Piedi assegnato allo 0300 fanteria a fine corso, chi ha culo va a fare lo sminatore...cci sua.

Pyle anche ce l'ha fatta: 0300 fanteria mentre Joker che si sente Miky Spillane va in Vietnam a fare i reportage, ma c'è ancora da fare il piantone l'ultima notte a Paris Island e Kubrick che è noto per saper far cagare nei pantaloni i suoi spettatori sfrutta al meglio una delle sue location preferite, il cesso, il teatro perfetto per far fare una faccia da strizza pura a Pyle, pieno zeppo infarcito di stronzate militari come le cartucce blindate che danno il titolo al film e chiudono un primo tempo perfetto in cui la fluidità del racconto e la luce plumbea delle riprese, come sempre le più adeguate ad ogni situazione nella scelta di Kubrick, non danno fiato allo spettatore ma non lo asfissiano neppure.

Quella rifatta più volte? Cowboy e Joker che danno il mocio al pavimento delle latrine, solo 62 ciak!

Il secondo tempo è quello più discusso perchè non ha il ritmo fluido del primo e da l'impressione di essere parte di un altro film, in realtà io ho una chiave di lettura molto precisa di questa parte: Kubrick sfrutta Joker reporter per confezionare un album fotografico in cui le didascalie sono le voci dei soldati, come se chi osserva stesse sfogliando con gli occhi uno dei tanti libri fotografici sull'argomento.

Il Vietnam ricostruito fuori Londra a forza di palme trasportate da chi sa dove, cartelloni impressionati con i kanji e palazzoni diroccati in via di demolizione è il set in cui Joker e il suo compagno fotografo Rafterman assistono all'attacco a sorpresa durante il Tet, forse il tratto meno memorabile del film che però svolta subito in una vignetta indimenticabile in cui Joker e Rafterman diretti al fronte in un elicottero osservano il mitragliere che li accompagna sparare raffiche sui campi sottostanti, Rafterman trattiene conati di vomito e l'umorismo raggelante di Kubrick esce dalla bocca del mitragliere, non a caso è l'attore che in un primo momento doveva interpretare Hartmann: "Ne ho ammazzate un sacco di quelle bestie gialle, quelli che stanno fermi sono molto educati.......ah ahah ahha .....la guerra è un inferno!".

Le istantanee di Kubrick sul Vietnam proseguono sul campo fino alla celeberrima sequenza finale con il plotone di Joker tenuto sotto scacco da un cecchino imboscato fra i palazzi diroccati: il buio che scende verso le palme e il fumo che sale verso le macerie creano il supporto per la sequenza in cui Kubrick può esprimere in sintesi la sua opinione su cosa sia stata questa guerra squilibrata e sbilanciata in cui una banda di ragazzotti americani ha messo sotto un uomo solo e indifeso... forse una donna, sicuramente non un nemico, certamente un avversario che a pugni chiusi e mani vuote lo ha portato alla sconfitta facedogli perdere almeno una delle sue tante facce.

L'ultima parola spetta comunque alla musica, una canzone per bambini inneggia Topolino: forse la guerra è troppo somigliante a un gioco per bambini pur non essendolo affatto ma ciò che contava allora sul campetto di periferia così come oggi sul campo di battaglia è rimanere in vita senza avere paura mai.

 

 

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