Regia di Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo) vedi scheda film
Giuliano Carnimeo eredita il personaggio di Sartana e lo ridisegna smussandone il lato dark e puntando invece il grosso delle sue fiches sui toni scanzonati della vicenda. Resta comunque un film dalla sceneggiatura arruffata ed eccessiva. Bene Gianni Garko, magnifico Klaus Kinski.
Dopo il clamoroso esordio in pompa magna con la co-produzione italo-americana “Panic Button... Operazione fisco” avvenuta cinque anni prima e conclusasi in un flop, la carriera del giovane regista barese Giuliano Carnimeo sembrava sul finire degli anni '60 destinata a non avere futuro. L'occasione per tornare in pista gliela offrì il personaggio di Sartana, recentemente sdoganato da Gianfranco Parolini e a cui Gianni Garko prestava il volto. Carnimeo e i suoi co-sceneggiatori Tito Carpi, Ernesto Gastaldi e Enzo Dell'Aquila ne ridisegnano i contorni, smussando gli angoli dark del personaggio originale per puntare invece maggiormente su toni simil-farseschi. Il plot è di quanto mai intricato si possa inventare, con Sartana che invischiato suo malgrado nella sanguinosa rapina della prima scena (molto ben realizzata) si ritrova a slalomeggiare tra bounty-killers, sceriffi e falsi amici, e lo fa come e meglio dell'Albertone Tomba dei giorni migliori. E tra tanti eccessi e una storia arruffata che salta di palo in frasca toccando quanti più argomenti possibili (nella speranza che la quantità potesse supplire alla mancanza di qualità?), trova posto, oltre al già citato Garko, un grandissimo Klaus Kinski che nobilita senz'altro la pellicola. Le musiche di Elsio Mancuso non sono male, ma 'morriconeggiano' in eccesso, come d'altronde troppo spesso accadeva negli spaghetti-western. Un'ultima annotazione infine, a proposito della sala giochi con slot machines inserita (a forza) nel film: a giudicare dalla completa assenza di automobili il film è certamente ambientato nel secolo XIX, tali macchine entrarono però in commercio su scala ragionevolmente ampia solo a partire dal 1908.
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