Regia di David Cronenberg vedi scheda film
Sebbene non sia un brutto film, è certamente quello meno cronenberghiano. Stavolta, la struttura narrativa è ancorata a quella “imposta” da Stephen King e si vede. La trama è frammentata, per certi versi episodica. Quando il protagonista decide di collaborare con la polizia, allora si ha come l’impressione che il film debba prendere la piega del thriller, invece, inaspettatamente e repentinamente si conclude la parentesi delle indagini e se ne apre un’altra a sé stante, quella della campagna politica. Questo fa sì che una cesura immaginaria divida il film in due parti distinte tra di loro e lo spezzi rallentandone il ritmo, per poi riprendere la corsa verso il precipitarsi degli eventi. Non è soltanto la trama a destare perplessità, per chi conosce i precedenti del regista, ma è anche lo spessore e la caratterizzazione dei protagonisti. Walken interpreta un uomo profondamente tradizionalista, moralmente ineccepibile, sensibile e fragile. La sua fragilità non è nascosta, ma esplicitata e questo stranisce chi conosce la determinazione e la fermezza dei personaggi cronenberghiani. Il riscatto si ottiene nella scelta finale in cui sta tutta la forza di un film stilisticamente perfetto ma, dal punto di vista della sceneggiatura, sicuramente in chiave minore. Regia curata e suggestiva che, fin dai titoli di coda, affascina e colpisce per la sua grazia, per il suo stile minimalista. La scena più bella, realizzata creando suspence e tensione rimane quella della sparatoria in casa del poliziotto.
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