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Jona che visse nella balena

Regia di Roberto Faenza vedi scheda film

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ViolettaBeauregarde

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Jona che visse nella balena

di ViolettaBeauregarde
8 stelle

Se si guarda il film con l'occhio critico di chi già suppone cosa gli riserverà la pellicola, lo troverà brutto, inconsistente e già visto.
Non siamo davanti ad una pellicola eccezionale ma stiamo guardando l'angoscia e l'orrore visti con gli occhi di un bambino: il pregio del film sta proprio nel vedere il tutto con lo sguardo disincantato ed infantile di Jonah che racconta l'intera vicenda in prima persona.
Il profeta Giona visse tre giorni dentro un grande pesce dove rivolge a Dio un'intensa preghiera che costringe il pesce a vomitarlo su una spiaggia dove divulgherà il suo credo ai popoli che vi abitano: Jonah fa più o meno la stessa cosa perché passa la sua infanzia (il momento più delicato per un bambino) in un lager per poi riuscire a capire cosa gli è successo e avere la forza di ricominciare.
La sua fortuna è, forse, quella di stare con la madre: una donna forte e furba, pratica e risoluta, è lei che prende le decisioni e sgrida sia il marito che il figlio quando sbagliano; riesce a discutere con il fruttivendolo che le aveva impedito di fare la spesa perché ebrea e contro la legge; è sempre lei che per far sopravvivere Jonah, lo spinge ad unirsi ai ragazzi grandi che vanno alla mensa delle SS per mangiare i resti del loro pasto (più nutriente di quello riservato ai prigionieri); riesce ad incontrare il marito e ad amarlo fisicamente per l'ultima volta anche se le circostanze non gli permettono di fare l'amore con atmosfera e soprattutto con la privacy dovuta.
Jonah riesce a prendere gli insegnamenti della madre per un verso tutto suo (come di solito fanno i bambini): nel campo diventa disincantato tanto che non riesce neanche a piangere quando vede il padre spirare e chiede alla madre il motivo per il quale piange e parla al capezzale del padre quando lui non potrà mai sentirla e riesce persino ad essere guardato con sospetto dai ragazzi grandi quando, entrando nell'obitorio del lager per una prova di coraggio, asserisce di aver visto il padre avvolto in un lenzuolo ed invita i compagni ad entrare per accertarsene.
Lo vidi per la prima volta l'estate del 1995 costringendo alla visione una compagna di classe che trovò il coraggio di ridere in alcune scene per me molto crude; l'ho rivisto oggi a quasi diciotto anni di distanza e, non so perché, mi ricordai la madre uscita dal campo incinta e la scena dell'obitorio in cui Jonah riesce a vedere la testa del padre quando non è così: strano come la visione di un film sembri così viva quando si è bambini per poi cambiare radicalmente una volta che lo si vede da adulti. Mi ricordo che misi a confronto ogni film sul lager con questo (con la visione personale che ne avevo) e non trovai mai l'umanità che accompagna tutta questa pellicola.

Sulla trama

1940: Jonah ha due anni e vive coi genitori ad Amsterdam una esistenza tranquilla e pacifica fino all'arrivo dei soldati vestiti di verde che cominciano i rastrellamenti alle famiglie di religione ebraica. Il padre di Jonah ha dei documenti per portare la famiglia in Palestina ma, come succede spesso, non si rende perfettamente conto del pericolo che sta facendo correre alla famiglia e viene arrestato con i suoi cari e condotto prima in una specie di ghetto, poi in un campo di concentramento. Passano gli anni, Jonah è un bambino che non conosce altra esistenza che quella del lager: lavora quando arrivano le scarpe dei prigionieri morti per staccarne le suole una volta a settimana; viene sfottuto dai ragazzini più grandi e mangia dal pentolone i rimasugli dei pasti delle SS con la complicità di un cuoco dal buon cuore che gli regala un cucchiaio. Per fortuna con lui rimane la madre Hanna che amorevolmente tenta di educare il figlio tra gli orrori. E' il compleanno di Max (il padre di Jona) e, assieme alla madre e corrompendo con dei sigari il medico del lager, i tre si rincontrano giusto il tempo per riconoscersi senza capelli e magrissimi che subito sono di nuovo divisi: Max morirà di stenti di lì a poco mentre Jonah e la madre saranno condotti su un treno verso la Palestina (nuova grande illusione), hanno la fortuna però di un deragliamento e vengono salvati da soldati sovietici e portati in un villaggio dove riescono, assieme agli altri prigionieri, a ritornare alla normalità.
Hanna però è esausta e non riesce a concepire ciò che è successo, in preda a manie di persecuzione morirà di lì a poco in un ospedale e Jonah tornerà ad Amsterdam dove sarà accolto dal datore di lavoro di Max e dalla sua amorevole moglie: una bicicletta lo aiuterà a ricordare i momenti belli accanto alla sua famiglia e gli darà il coraggio di guardare avanti con più fiducia.
Diventerà un fisico nucleare.

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