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La lunga estate calda

Regia di Martin Ritt vedi scheda film

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La recensione su La lunga estate calda

di stanley kubrick
8 stelle

Non conosco la filmografia di Martin Ritt, regista statunitense del film La Lunga Estate Calda. Il suo sodalizio con Paul Newman però è evidente, dato che l'attore appare in molti suoi film. L'uomo viene visto come un fallimento totale, uno che non ha voglia di fare niente, uno che non si sacrifica per nessuno. In questa pellicola, si assiste sempre a famiglia altolocate, che si pavoneggiano con le loro enormi magioni recintate da un prato verde interminabile. A quei tempi, a Hollywood piaceva molto mettere in scena la vita quotidiana di gente che stava bene economicamente, con le loro ville che apparivano come grattacieli in una città, che si stanziavano in un area quasi illimitata. Orson Welles interpreta il ricco proprietario terriero di una piccola cittadina, grande ruolo per un attore leggendario, che assume un uomo che fa parte della cerchia che ho descritto prima. In alcune sequenze, Ritt prova a trasformare il suo film in un mèlo che prende spunto dai drammoni che Douglas Sirk, a quel tempo, con Secondo Amore, dirigeva predicando una forma cinematografica intensa e celeberrima tutt'ora. Il mondo sembra rivolto per colpa dello sporco che c'è in quel paesino. Non succede, come negli western, che viene attaccato da inumani uomini alla ricerca di soldi oppure di fanciulle, piuttosto viene tiranneggiato da una persona che risulta orribile in vari frangenti, ed è proprio il personaggio di Welles. Se in La Stangata di George Roy Hill viene visto un certo tipo di imborgli, che riguardavano specialmente il gioco delle carte e l'incauto umano che si sottoponeva alla prova, in questo film imbrogliare significa vivere con lo sporco addosso. Se non si vende, si rischia di non avere più niente in tavola, di avere vestiti putridi e lacerati dal tempo che scorre, di ripararsi dalla pioggia con ponti sospesi tra il nulla. Quindi anche a costo di imbrogliare sulle vendite, bisognava fare entrare i soldi in famiglia. Anche la parabola della distruzione familiare andava molto di moda per quei tempi, specialmente per il rapporto conflittuale che si veniva a creare tra padre e figlio. E' bravissimo Orson Welles quando se la prende con il figlio perchè non ha coltivato bene le terre quando lui era in ospedale. Intanto la questione del fuoco che divora il legno di un granaio nell'incipit fa pensare al finale di Rebecca, La Prima Moglie di Sir Alfred Hitchcock, una potenza visionaria a dir poco all'avanguardia. Il protagonista ha una certa affinità con il rosso del fuoco, la sua abilità di piromane gli fa avere una certa reputazione di fronte agli impauriti agricoltori o allevatori di bestiame. Quei contadini che si lamentavano di lui dopo i titoli di testa sono figli dell'impoverimento generale, quello che hanno sono le desolate steppe che devono coltivare, una famiglia a carico che deve mangiare. Insomma, nella pellicola in questione si parla di persone povere, ma solo intransitoriamente, ovvero non direttamente, ma soltanto con apportate modifiche delle varie situazioni. Il contrasto tra ricchi e poveri viene, infatti, messo in secondo piano dalla storia familiare e da quella sentimentale. Le stanze della villa di Welles sono grandi come il profondo odio che i figli provano per lui e sono addobbate esattamente come quella festicciola del fine settimana che ogni paesino organizza per celebrare sempre qualcosa di nuovo. E' proprio in quella festa la chiave di lettura della storia d'amore, precisamente dopo che Newman e la Woodward (la ragazza che il protagonista cercherà di sedurre) si lasciano dopo il non fatto pic-nic. Se queste feste dovrebberò presagire simpatia e amorevolezza, tra quei due invece succede tutto il contrario, l'odio sprigiona la sua forza e distrugge tutto il tenero che poi ci sarà nel futuro. Vorrei adesso analizzare il titolo, La Lunga Estate Calda. Si definisce lunga perchè dall'arrivo di Newman succedono degli avvenimenti che non fanno mai passare il tempo, quindi quest'ultimo viene inteso come infinito, irriducibile, interminabile e mira ai sentimenti degli innamorati per deprimerli e farli lasciare. Di recente, gli spettatori sono stati abituati a concepire il tempo in un certo modo, basti pensare a film fantascientifici che si vedono nelle sale (un ultimo esempio è In Time di Andrew Niccol), ma a quei tempi, viene visto solo come inutile passeggero di un treno, oppure come un vento leggiadro che si disperde tra i meandri ossigenati. La macchina da presa riprende costantemente i volti dei personaggi che vengono valorizzati dagli ottimi paesaggi, Ritt è bravo a posizionarla in punti strategici, dove le luci sono più consone agli avvenimenti. Una fotografia lucente dà vitalità al tutto, perfino alle interpretazioni degli attori (fa sempre piacere, oltretutto, vedere Angela Langsbury davanti alla camera). Il protagonista, come ho già detto prima, viene visto come un perdente fatto e finito. E' utile analizzare un punto, quello degli uomini che sono contro di lui. Martin Ritt ci fa osservare da lontano un tribunale che si riunisce per il fuoco appiccato in un granaio, nella scena subito dopo l'incipit. Si può notare che lo spirito vendicativo dei contadini non sia cambiato neanche un pò durante il corso della vicenda, abbiamo duque assistito a un tentativo riuscito di mantenere statici i personaggi secondariamente principali, ovvero i coltivatori della terra. Dovrò approfondire questo autore, dato che in pochi, a mio avviso, sanno sviluppare bene quella tecnica. Un cinemascope sensazionale racchiude il tutto in un aura magica. E alla fine, forse l'unica cosa da fare è quella di scappare per colpa dell'economia, dato che i soldi sono la ragione della vita di ognuno. Però, stranamente, anche insieme all'amata che hai conteso con così tanta difficoltà.

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