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Wolfen - La belva immortale

Regia di Michael Wadleigh vedi scheda film

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John_Nada1975

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La recensione su Wolfen - La belva immortale

di John_Nada1975
8 stelle

Capolavoro stilistico per un incubo irrazionale. Film di alta ambizione e confezione che va contro ogni regola di confezione, ritmo trasognato e allucinato, tra i tagli senza lama a maciullare le carni in una ambientazione di verismo urbano nel South Bronx in abbandono e totale diroccato degrado del periodo(laddove tra i tanti film e telefilm, venne girato il memorabile finale di "Bronx, 41° Distretto di polizia di Daniel Petrie, nello stesso anno), insuccesso assicurato, che fece sì diventasse l'ultima regia- e la prima cinematografica-, del dotatissimo e totalmente "Irregolare" personaggio Michael Wadleigh, di "Woodstock"(1970).

Marchio Orion Pictures inconfondibile, produzione Warner e buon dispendio di mezzi per un film che non venne recepito commercialmente(nello stesso anno licantropico per eccellenza de "L'Ululato"[The Howling]di Joe Dante, "Un Lupo mannaro americano a Londra"[An American Werewolf in London] di John Landis, e "Che fatica essere lupi"[Full Moon High'"]di Larry Cohen), ma divenuto all'istante sempre più oggetto di interesse critico e culto crescente, soprattutto negli Stati Uniti e in Francia, non in Italia dove addirittura non uscì nelle sale(e da allora soffre del doppiaggio stranito per una prima messa in onda su Retequattro del 1986), ma soltanto come inedito in una vhs Warner Home Video, nel 1989.

La cura formale, fotografica di Gerry Fisher e di decòr delle scenografie interne e urbane di questo film è qualcosa di eccezionale, oltre che di un lavoro con la steadycam sensazionale di Garrett Brown poco dopo "Shining", non sarà un caso che praticamente il totale degli interpreti, da Diane Venora a Tom Noonan a Edward James Olmos, James Tolkan, Raymond Serra, sarebbero finiti per essere degli attori ricorrenti nel cinema di Michael Mann, un altro formalista esasperato, che sicuramente ha visto e apprezzato lo sforzo.

Albert Finney nella parte dello stranito, informale e totalmente disincantato Detective Dewey Wilson fa pienamente centro e va contro tutti i clichès del personaggio, scelta felice di Wadleigh che si impose nel preferirlo a Dustin Hoffmann, interessato al ruolo ma non adatto. 

Una tra le New York anche ripresa dall'altissimo delle guglie campanaria del ponte di Verrazzano e della skyline con in bella vista sul finale le torri gemelle, tra le più belle mai immortalate su pellicola. 

Raro film di licantropi senza trasformazioni e effetti prostetici o di make-up(oltretutto misurarsi lo stesso anno contro Rick Baker, Dick Bottin e Stan Winston, sarebbe stato improbo), ma con lupi veri splendidamente utilizzati nel fiammeggiante, visionario e allucinante finale, che inizia dall'esterno a notte della Borsa valori di Wall Street, per terminare nell'attico high-tech di Van Der Veer, tutto superfici moderniste e traslucide, luci e arredamenti, veneziane metalliche postmoderne. 25' minuti di azione su un film di 113' essenzialmente di studio e contemplazione a suo modo anche filosofica. Bene innestata nella vicenda la fissa sulle istanze ecologistiche, naturaliste e di sfruttamento capitalistico del territorio, dei nativi americani di Wadleigh(ma era già nel bel romanzo di Whitley Strieber) la storia degli ultimi indiani oggi impiegati a lavorare a grandi altezza che non temono, su ponti e grattacieli, dei vecchi territori intorno all'isola di Manhattan e New York

Sicuramente uno dei migliori horror americani '80, eleganti e raffinati, con poche ma incisive scene di gore come di gole e carni squarciate, teste tagliate ma ancora parlanti(la scena nel movimentatissimo e pulsante sotterraneo della patologia medica del N.Y.P.D. con il "musicale" coroner Whittington di Gregory Hines, è stata di ispirazione per Fulci e una analoga del coevo "Lo Squartatore di New York".

Primo film in cui viene utilizzata la soggettiva in steadycam "termografica", dei lupi in avvicinamento e attacco, poi resa negli anni '80 famosa in altri film, specie in "Predator". 

 

John Nada

 

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