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Il giro del mondo in 80 giorni

Regia di Michael Anderson vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Il giro del mondo in 80 giorni

di FABIO1971
6 stelle

Oltre ad avere un cratere sulla luna intitolato a suo nome, Jules Verne detiene ancora oggi un invidiabile record: è il terzo scrittore più tradotto al mondo (dopo le novelizations dei personaggi di Walt Disney e dopo Agatha Christie). Francese di Nantes, spirito ribelle (a soli 11 anni d'età già fuggì di casa e si imbarcò su una nave diretta in Oriente, salvo poi essere scovato appena in tempo dal padre), figlio di un avvocato, che lo costrinse ad interrompere gli studi di filosofia per dedicarsi alla carriera legale, tanto da spingerlo a trasferirsi a Parigi (dove diventò amico di Alexandre Dumas e avviò la propria carriera di scrittore), Verne ispirò scienziati e immaginari collettivi di una generazione in piena rivoluzione industriale, esplorando nei suoi romanzi ogni anfratto della terra ed ogni profondità degli oceani, fino a librarsi nell'aria o nello spazio. Il suo Giro del mondo in ottanta giorni (pubblicato nel 1873), una tra le gemme più splendenti nella sua produzione letteraria, ne traduce i travolgenti voli della fantasia nell'amore sfrenato per l'avventura, sposando come consuetudine il fascino per la scoperta dell'ignoto con le meraviglie delle innovazioni tecnologiche: la trama, arcinota, descrive l'incredibile impresa del londinese Phileas Fogg, che, per vincere una scommessa, si imbarca insieme al suo cameriere Passepartout per compiere in soli ottanta giorni il giro del mondo. Alla terza riduzione cinematografica (dopo una prima versione americana nel 1914 ed una seconda realizzata in Germania nel 1919 da Richard Oswald, che annoverava Conrad Veidt nel ruolo di Fogg), finalmente Hollywood decide di accostarvisi con la dovuta deferenza e la necessaria profusione di mezzi per trasformarlo in un kolossal adeguatamente coinvolgente e spettacolare. L'impresa venne affidata dalla United Artists alla compagnia di Michael Todd, che sperimentò con Oklahoma! di Fred Zinnemann e proprio con Il giro del mondo in ottanta giorni il rivoluzionario sistema Todd-AO (30 fotogrammi al secondo su schermo panoramico e pellicola 70mm), che, dilatando a dismisura la larghezza del campo visivo, mirava ad eguagliare (se non a superare) gli analoghi effetti raggiunti con il più famoso Cinerama (creato sempre da Todd ma molto più complesso, visto che necessitava dell'impiego di tre macchine da presa e di tre proiettori): Todd assegnò la stesura del copione a John Farrow, al James Poe di Il grande coltello e al S. J. Perelman sceneggiatore per i fratelli Marx, adattando piuttosto fedelmente spirito e vicende del libro (nonostante alcune sequenze create ex novo per il film) ma traducendolo sullo schermo con toni molto più scanzonati e leggeri (e con un eccesso quasi fastidioso di stereotipi che ne costituisce il vero punto debole) ed incaricando lo stesso Farrow di occuparsi anche della regia (salvo poi sostituirlo con Michael Anderson dopo pochi giorni di riprese). Un'impresa comunque mastodontica e senza precedenti: tre ore di durata, quasi sei milioni di dollari di costi per oltre cento milioni di incasso (di cui 25 milioni raggranellati solo negli Stati Uniti), oltre cinque mesi di riprese con locations sparse in mezzo mondo (dagli Stati Uniti all'Inghilterra, dalla Francia alla Spagna, dalla Thailandia a Hong Kong e Giappone, fino al Pakistan e al Golfo Persico), un cast infinito di attori tra protagonisti (un impeccabile e straordinario David Niven, una deliziosa, ma decisamente fuori parte, Shirley MacLaine ed uno scatenato Cantinflas, alias il messicano Mario Moreno Reyes, ovvero l'attore latinoamericano più famoso dell'epoca), cameo (tra i tanti: Frank Sinatra, Marlene Dietrich, Buster Keaton, Fernandel, John Gielgud, Robert Morley, Trevor Howard, Noel Coward, Peter Lorre, Charles Boyer, Cedric Hardwicke, Charles Coburn, John Carradine, Victor McLaglen, Ronald Colman, George Raft, Red Skelton, John Mills, il torero Luis Miguel Dominguìn) e comparse (quasi 70000 di tredici diverse nazionalità), un prologo, girato dallo stesso Michael Todd, in cui viene proposto Il viaggio nella luna di Méliès, nessun titolo di testa e ben sette minuti di titoli di coda (animati e realizzati da Saul Bass), tre anni consecutivi di proiezione a New York, una presentazione in pompa magna e fuori concorso al Festival di Cannes, cinque premi Oscar vinti su otto nominations (miglior film, sceneggiatura, la fotografia di Lionel Lindon, la colonna sonora composta da Victor Young e il montaggio). E l'elenco potrebbe continuare ancora, se non fosse che l'effettiva magniloquenza dello spettacolo allestito con tale profusione di mezzi non smarrisca spesso il brio romanzesco della narrazione, che i personaggi, ridotti a semplice macchiette, riescano raramente a trasmettere il brivido dell'avventura che percorre le pagine di Verne, che la mano del regista Michael Anderson (ma sarebbe più corretto imputarne le colpe al produttore Todd) non appaia così sicura e convincente come richiedeva la vivacità del copione. Un giocattolone sontuoso, quindi, ma molto meno divertente e trascinante delle aspettative, tanto che spesso, vista anche la chilometrica durata, affiorano prepotentemente sbadigli e momenti di stanca.

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