Regia di Terence Fisher vedi scheda film
Ci sono film che non si discutono, che non possono essere giudicati belli o brutti, ma solo idolatrati. Questo poiché si tratta di miti sempiterni, di pellicole iconiche ed entrate nell’immaginario collettivo. Questo è il Dracula di Terence Fisher, così come lo fu la versione del 1931. Ma a differenza del film di Tod Browning qui accade qualcosa di diverso e decisamente osé: Christopher Lee (i fiumi di parole di critici e fan non basteranno mai a glorificarne appieno la grandezza) dona al personaggio (e quindi al film) una carica erotica nuova, potente e audace per i tempi.
Il suo è un Dracula sensuale e affascinante, seduttore mortale che sottomette le donne (che il contagio vampiresco rende tutte viscide e doppiogiochiste) al proprio volere. Emblematica in tal senso è la scena notturna dove Lucy – morsa e quindi succube – spalanca le finestre della propria camera attendendo sdraiata nel suo letto il vampiro, quasi si trattasse del preludio ad un atto sessuale.
Il film vanta inoltre il merito di essere capostipite e padre della famosa quanto prolifica “Hammer Films”, nonché del ciclo vampiresco che essa avrebbe partorito negli anni a venire e che avrebbe donato all’horror onore e gloria con film (seppur inferiori a quello in analisi) quasi tutti diventati meritatamente dei cult.
Nel film di Fisher (uno dei massimi talenti nell’horror dell’epoca) sono presenti tutti gli elementi che avrebbero caratterizzato la mitica casa di produzione inglese: colori sgargianti, arredamenti interni ricchi e debordanti, sangue facile seppur scarso (ma era tutto ciò che la censura dell’epoca acconsentiva), tetri boschi, nebbia, cripte e cimiteri, voli dei pipistrelli e urla di fanciulle, allusioni sessuali (la più provocatoria delle quali la troviamo su “Dracula, principe delle tenebre”, 1966), piccole comunità di sperduti paesi di montagna (dagli abitanti schivi e poco cordiali) puntualmente riunite nella vecchia locanda, nonché la regolare presenza di sir Christopher Lee e Peter Cushing (qui rispettivamente “Dracula” e “Van Helsing”).
Tutti luoghi comuni questi che, prima di diventare stereotipi, si sono erti a componenti seminali di uno dei più vasti e articolati generi della Settima Arte.
Un classico, un monumento, un must per tutti.
È assolutamente commovente rivederlo oggi, giacché i cinefili più sensibili ed emotivamente predisposti si accorgeranno che davanti ai loro occhi sta vivendo (di nuovo) la gloria di tempi che furono e che ora non esistono più.
Da applaudire fino allo sfinimento e da imparare a memoria.
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