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La moglie del soldato

Regia di Neil Jordan vedi scheda film

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La recensione su La moglie del soldato

di LorCio
7 stelle

“When a man loves a woman” canta Percy Sledge sui titoli di testa. Quando un uomo ama una donna accadono molte cose. Le conseguenze dell’amore si fanno sentire, e quanto fanno male. Prima di affrontare il risvolto sentimentale de La moglie del soldato, cerco di addentrarmi un po’ nei significati evidenti o meno del film. Toppo superficialmente lo si può liquidare come un film sul terrorismo. Lo è, certo. È un film sull’odio generato dalla lotta politica (eppure lasciata sullo sfondo), ma non solo. C’è il sangue (specie nel finale), la prigionia, l’isolamento. Ma non è un film politico. Jordan privilegia il lato umano della storia. E scagliona l’opera in tre parti. Nella prima (convenzionale, ammettiamolo, la meno riuscita), appunto, c’è l’indagine sul rapporto tra il carceriere (Fergus: eccellente Rea) e il prigioniero (Jody: struggente Whitaker), un gioco di sguardi e di parole, di conversazioni che tu non ti aspetti di sentire in un luogo di reclusione. Ci manca solo una birra. E c’è il primo segnale di un qualcosa che immediatamente non capisci, ma che poi torna, inevitabile: Fergus aiuta ad urinare Jody incatenato. Tenetelo a mente, quel particolare, quell’organo sessuale maschile cacciato (ma non esibito). Quando la fine si avvicina il prigioniero si raccomanda al carceriere: cerca mia moglie, dille che l’ho pensata negli ultimi momenti. Fergus non lo uccide, ma Jody muore lo stesso – guarda caso schiacciato dall’impeto di una macchina militare, proprio lui che era soldato impegnato nella lotta ai terroristi irlandesi (Fergus e compagni sono dell’IRA).

 

Il senso di colpa è la (prima) rottura dell’equilibrio: Fergus si sente responsabile della morte violenta. E allora va alla ricerca di questa moglie del soldato (sensazionale Davidson) – ed ecco entrare nel secondo segmento del film. Che ha i toni del melodramma sentimentale, un po’ sfuggente, un po’ sibillino, senza molte spiegazioni sul perché, sul cosa, sul come. Il pub evocato nella parte carceriera torna materialmente. Gli snodi sessuali appena accennati nella prima parte si slegano in questa seconda, e rappresentano la seconda rottura dell’equilibrio. Il film è famoso, ma non voglio rivelare quale sia l’arcano. E quindi entriamo nella terza ed ultima scheggia di storia, quella più violenta, risolutrice (ma mica tanto), che si può tranquillamente accreditare come una sorta di noir amoroso ad inseguimento sentimental-politico. Jordan si lascia trasportare dalla pertinente colonna sonora, e proprio tutto il film può essere considerato alla stregua di una canzone struggente e disperata. È una parabola sul senso di colpa che mangia l’anima e porta a fare i conti con le parti più sconosciute della coscienza, sulla seduzione che intriga i corpi prima delle vite, sui segreti che non possono rimanere tali quando ci sono di mezzo i sentimenti. Sono queste le conseguenze dell’amore. Ogni cosa nasce per caso, le sorprese non si fanno attendere, l’eclettismo è la cifra essenziale.

 

Jordan si muove con classe e sobrietà su registri diversi, cattura l’attenzione a suon di colpi di scena talora silenziosi e talora fragorosi, fa dell’ambiguità psicologica e fisica la propria bandiera, scompiglia le carte in tavola in nome del dubbio sentimentale. E poi asserisce (non so dire se sia una lezione o una semplice constatazione) una cosa molto vera, un po’ aristotelica: l’uomo segue la propria natura, non sempre alla ricerca del giusto mezzo perché in preda all’istintività. Gli abitanti de La moglie del soldato sono scorpioni che non possono fare a mano di sprigionare il proprio veleno, e allo stesso tempo rane un po’ allocche che non sono capaci (non vogliono) riconoscere la fonte di avversità nella quale possono inciampare. E il finale, ad altissima tensione, è la concretizzazione dell’atto d’amore, e allo stesso tempo la beffa razionale consequenziale a quell’affermazione iniziale: quando un uomo ama una donna può succedere di tutto, e non tutto può avere esito felice. Contare i giorni che separano i propri corpi dall’abbraccio perduto. Passare soavemente quei minuti d’amore parlato. E rendersi conto che, nonostante tutto, siamo tutti uguali di fronte ai sentimenti.

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