Regia di Robert Bresson vedi scheda film
Bresson rivive il mito di Giovanna d'arco similmente a come Albert Camus aveva fatto nel libro "lo straniero" con la figura di Meursault. L'eroina è un personaggio alienato dal mondo, esterno, freddo in preda ad una sorta di esistenzialismo mistico. Non è come la Giovanna di Dreyer che piangeva e si disperava ma, invece, sembra fuori dal mondo che la circonda e ciò è evidenziato dalla prigione, Bresson fa continue inquadrature alle porte della cella di Giovanna che si aprono e si chiudono su un mondo esterno, un mondo diverso da quello della sua mente, un mondo che non concepisce e, come Meursault, ne è distante, quasi indifferente. Il processo in se si basa esclusivamente su dialoghi, botta e risposta velocissimi che sottolineano la diversità totale tra i due modi di concepire la storia (e la vita), quello che vede Giovanna in contrapposizione netta con quello la visione della chiesa. Bresson poi si concentra anche molto sulle catene, le catene che legano l'eroina solo le catene che ogni uomo è obbligato a portare, catene imposte dalla società in cui vive ma anche catene che simboleggiano la ricerca del razionale, la difficoltà dell'uomo nell'uscire dal suo pensiero razionale, l'essere troppo legato (incatenato) al mondo materiale. L'ultima inquadratura del film ci fa vedere il luogo nel quale Giovanna è stata bruciata, vediamo il palo di legno e le catene che penzolano giù e che non hanno più nessuno da legare, non hanno più nessuno da bloccare e pure sono lì sempre presenti: la provvisorietà della vita e la fuga impossibile.
Interpretazione distaccata e intimamente profonda.
Personaggio freddo e fin troppo razionale. Metafora della visione di Bresson sugli uomini che comandano, sugli uomini che hanno il poteree lo esercitano.
Personaggio freddo e fin troppo razionale. Metafora della visione di Bresson sugli uomini che comandano, sugli uomini che hanno il poteree lo esercitano.
Regia essenziale ma molto attenta ai particolari.
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