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Barry Lyndon

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Barry Lyndon

di RobertoMangiafico
10 stelle

Scene da un matrimonio tra cinema e pittura.

Ryan O'Neal, Marisa Berenson

Barry Lyndon (1975): Ryan O'Neal, Marisa Berenson

Dramma storico e film monstre per la magnificenza figurativa, Barry Lyndon (1975) di Stanley Kubrick, tratto da un romanzo di Thackeray, è una delle pellicole più pittoriche mai realizzate, tanto che molte inquadrature possono essere considerate evocazioni mimetiche di famosi dipinti, non veri e propri tableaux vivants, ma nemmeno semplici citazioni. Numerose riprese di esterni e interni furono in effetti ispirate alla pittura inglese ed europea del XVIII secolo, epoca in cui il film è ambientato. Ed è risaputo che per ottenere risultati visivi realistici ed esaltare la pittoricità delle immagini Kubrick rinunciò all’illuminazione artificiale e grazie a speciali obiettivi ad alta luminosità applicati alla macchina da presa girò il film usando la luce naturale e candele o lucerne per le scene notturne. La storia è semplice e avvincente. Redmond Barry (un calibrato Ryan O’Neal), un bel giovane romantico e impulsivo, orfano di padre e di modeste origini, dopo un duello per amore lascia la campagna irlandese e parte alla conquista della ricchezza e di un titolo nobiliare. Per realizzare il suo sogno di scalata sociale diventerà un avventuriero pronto a trasformarsi in soldato, disertore, spia e baro ma finirà col perdere tutto, rango, denaro e affetti, e tornare al punto di partenza, vittima del suo arrivismo senza scrupoli e della sorte avversa. La voce fuori campo narra (e commenta) con misurato distacco brechtiano e un pizzico di pungente sagacia le varie fasi della sua parabola esistenziale, passata per i campi di battaglia della Guerra dei sette anni e i tavoli da gioco dei salotti dell’aristocrazia europea e culminata nel matrimonio d’interesse con la ricca vedova inglese Lady Lyndon (l’eterea Marisa Berenson). Chi si aspettasse di trovare nel film i toni di un’aperta critica alla società settecentesca, classista, crudele e profondamente ingiusta, o di un severo giudizio morale sull’antieroico protagonista, dovrà accontentarsi dell’amara e beffarda ironia che pervade la riflessione finale sulla vanità della condizione umana: “Fu durante il regno di Giorgio III che i suddetti personaggi vissero e disputarono. Buoni o cattivi, belli o brutti, ricchi o poveri, ora sono tutti uguali.” Imponente e accuratissima ricostruzione storica della seconda metà del Settecento, l’opera incanta con lo splendore composto e armonioso della sua purezza formale e muove l’animo a commozione e pietà per le dolorose vicende umane rappresentate. Le musiche del film, in gran parte brani riadattati di autori classici, sopra tutti il Trio op. 100 di Schubert e la Sarabanda di Händel, dispiegano tutto il loro potenziale espressivo creando un contrappunto emozionale alla drammaturgia del racconto filmico. “La musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura”, scriveva Leonardo da Vinci, perché solo queste due arti, ha aggiunto Kubrick, in quanto forme di espressione non verbali, hanno accesso alle aree della sensibilità più intima vietate alla parola (L. da Vinci, Libro di Pittura, Firenze, Giunti, 1995; S. Bassetti, La musica secondo Kubrick, Torino, Lindau, 2002). Premiato con 4 Oscar (fotografia, scenografia, costumi [all’italiana Milena Canonero] e colonna sonora), è un film irrinunciabile per gli amanti del cinema.

scena

Barry Lyndon (1975): scena

 

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