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Downsizing - Vivere alla grande

Regia di Alexander Payne vedi scheda film

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La recensione su Downsizing - Vivere alla grande

di lohengrin
6 stelle

Troppi temi, solo abbozzati. Payne è un regista incostante, capace di grande empatia e raffinatezza introspettiva, di qualche tocco visionario alla Gilliam, ma anche di qualche caduta di stile. Un film che risulta gradevole e utile per essere citato in qualche convegno o articolo giornalistico su temi ecologici.

Dopo averci deliziato con Sideways (2009) e, soprattutto con il lussuoso Nebraska (2013), Alexander Payne firma Downsizing (2017).  In un futuro possibile, rimpicciolire di 14 volte gli esseri umani sembra l'unica soluzione per ridurre il nefasto impatto globale provocato dalla nostra ingombrante specie sul pianeta. Meno risorse utilizzate e meno scarti. Grande entusiasmo deriva da un esperimento condotto in Norvegia, in cui un'intera comunità di 36 scienziati, tra cui l'inventore del procedimento, si sottopone al downsizing. Dopo 4 anni, il totale di tutti gli scarti non compostabili da questa comunità sperimentale, è contenuto in un solo sacco di immondizia. Il processo di rimpicciolimento irreversibile è una libera scelta a cui si sottopone Paul Safranek (Matt Damon), terapista occupazionale, abbagliato da una campagna pubblicitaria martellante che gli dimostra che, nel mondo miniaturizzato, il suo reddito attuale è sufficiente per farlo vivere agiatamente per il resto dei suoi giorni. Questa scelta avrà conseguenze negative prima sul matrimonio e poi sull'intera esistenza di Paul. Questi riuscirà a rinascere grazie all’amicizia con il contrabbandiere Dusan (un simpaticissimo Christoph Waltz) e con la ribelle vietnamita Ngoc Lan Tran (Hong Chau, la vera rivelazione del film), che è arrivata nel micromondo rimpicciolita per errore, perché si trovava nello scatolo di un televisore!

Molti sono gli spunti contenuti nel soggetto. Forse troppi. Infatti il film si limita ad abbozzare senza mai andare a fondo in nessun tema: la Scandinavia come nuova frontiera per un new deal ecologista, le fallimentari soluzioni “tecnologiche” alla grave situazione in cui versa il nostro pianeta, il trasferimento da una comunità in cui si è integrati a un’altra, artificiale, in cui si deve totalmente ricostruire il tessuto di relazioni, la riproduzione, in questa nuova e finta società, di tutte le nefandezze della vecchia, dal divario sociale alla devianza.  Si usano il registro comico/satirico e quello fantastico/apocalittico insieme, il primo prevale sul secondo ed entrambi prevalgono sulla definizione del carattere del protagonista, che alla fine risulta scialbo, incerto e surclassato dai ben più convincenti comprimari. Il personaggio non si evolve armoniosamente e la sua scelta finale è scontata e forzata. Si dice che la prima scelta per il ruolo da protagonista fosse Paul Giamatti, e il film ne avrebbe guadagnato. Payne è un regista incostante, capace di grande empatia e raffinatezza introspettiva, di qualche tocco visionario alla Gilliam (si vedano le distopiche scene ambientate tra i fiordi norvegesi e nel condominio di Gong Jiang, che chissà perché mi ricorda il museo del cinema di Torino), ma anche di qualche caduta di stile. Un film che risulta gradevole e utile per essere citato in qualche convegno o articolo giornalistico su temi ecologici e per programmare le prossime vacanze nello spettacolare Trollfjord, a nord della Norvegia, un fiabesco braccio di mare di 2 chilometri che conduce alle isole Lofoten e Vesterålen.

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