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Goksung - La presenza del diavolo

Regia di Hong-jin Na vedi scheda film

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La recensione su Goksung - La presenza del diavolo

di mck
8 stelle

Piccola città / Bastardo posto.

 

 

“È lui! È lo straniero!”, ovvero: Post Tenebras… Nihil.
Il know-how mefistofelico è dotato di tutto l’apparato pentolamesco occorrente. Comprensivo di Minolta.

GokSung - the Wailing”, l’opera terza - dopo gli eccellenti action-thriller / neo-noir “the Chaser” (‘08) e “the Yellow Sea” (‘10) - nel lungometraggio come sempre scritta e diretta da Na Hong-jin, classe 1974 - quindi posizionabile fra le giovani promesse (Hun Jang, Jung Byung-gil, Yeon Sang-ho, Lee Hae-jun, July Jung) che vanno diventando autori affermati (Hong Sang-soo, Kim Ki-duk, Park Chan-wook, Kim Ji-woon, Bong Joon-ho) i quali sono cresciuti sulle spalle dei venerati maestri (Im Kwon-taek, Jang Sun-Woo, Lee Chang-dong) a loro volta venuti dopo l’Epoca d’Oro post-Guerra Civile (anni ‘50-’60) che giunse dopo l’Epoca degli Albori sotto il dominio giapponese (dagli anni ‘20 sino alla WW2) andata per lo più persa - è un film che disinnesca e detronizza spannometricamente ogni quarto d’ora, lungo le sue due ore e mezza, ogni cliché sovraesposto e fuori posto che mette in campo inscenandolo tra il grottesco, il comico, il drammatico e l’orrore (zombie, j-horror, etc…), senza un’ombra che sia una di k-pop.

Perché, allora, ad esempio, Ari Aster “no” (tanto "Hereditary" quanto "MidSommar", pur con le loro parziali pregevolezze) e Na Hong-jin “sì”? Perché il primo, sfruttando gli errori e il dolore degli altri, ci dice, consolandoci sul luogo del disastro, smantellata la mostra delle atrocità, che comunque siamo qualcosa, mentre il secondo afferma perentoriamente, svuotato il campo di battaglia dalle inutili spoglie delle pedine maciullate rimaste in gioco, che niente siamo e nulla rimarremo. Il primo, proprio come i suoi antagonisti, vuole ingannarci giocando con carte truccate: per citare un grandioso romanzo di Dan Simmons (“Carrion Comfort”), che a sua volta prendeva nome da una poesia di Gerald Manley Hopkins, il suo è (♦) il conforto della carogna. Il secondo, invece, ha la decenza di non farlo, e al contempo fa di peggio: ci fa credere che abbiamo a disposizione una buona mano d’indizi, poi rovescia il tavolo. E a quel punto ecco che le carte formano un disegno… Ma è troppo tardi.

Probabilmente il film più stephenkinghiano mai girato senza Stephen King di mezzo, col male che etnologicamente/folkloristicamente (sciamanesimo, buddhismo, cristianesimo) adegua le proprie sembianze.

Kwak Do-won è la mimetica controparte doppelgängerosa di Song Kang-ho in “Memories of Murder”, “Gwoemul” eParasite di Bong Joon-ho.
Il grande Jun Kunimura si muove come fosse a casa sua, cioè s’un set di Takashi Miike.
Molto brava la piccola Kim Hwan-hee, novella Linda/Regan.
La sacrificata Chun Woo-hee ugualmente risplende.

 

* * * ¾ - 7½

 



(♦) La parziale traduzione è mia, dizionario (e licenza abusiva d’interpretazione) alla mano.

                  Not, I’ll not, carrion comfort, Despair, not feast on thee;
                 Not untwist-slack they may be-these last strands of man
                       In me or, most weary, cry “I can no more”. I can;
                Can something, hope, wish day come, not choose not to be. 
                 But ah, but O Thou terrible, why wouldst thou rude on me
            Thy wring-world right foot rock? lay a lionlimb against me? scan
                With darksome devouring eyes my bruised bones? and fan,
      O in turns of tempest, me heaped there, me frantic to avoid thee and flee? 
                Why? That my chaff might fly; my grain lie, sheer and clear. 

                Nay in all that toil, that coil, since (seems) I kissed the rod,
        Hand rather, my heart lo! lapped strenght, stole joy, would laugh, cheer.
       Cheer whom though? the hero whose heaven-handling flung me, foot trod
    Me? or me that fought him? O which one? is it each one? That night, that year
          Of now done darkness I wretch lay wrestling with (my God!) my God.

 

              ----------------------------------------------------------------------------------------- 

        No, non lo farò, carognesco conforto, Disperazione, non mi sfamerò di te;
    non scioglierò, per quanto possano essere sfibrati, questi ultimi sfilacci d’uomo
                       in me o, sfiancato, griderò “Non posso più”. Io posso;
Qualcosa posso sperare, desiderare la venuta del giorno, non scegliere di non essere.
           Ma, oh Tu, terribile, perché hai voluto violentemente calare su di me
               tutto quanto il peso del tuo piede destro che sgretola il mondo?

Perché posso. Perché mi diverte. Perché me lo rendete così facile. Perché potrei quasi non esistere!

E poi, perché no?   

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