Regia di Jonathan Dayton, Valerie Faris vedi scheda film
Se Masculin, féminin di Jean- Luc Godard poteva chiamarsi "I figli di Marx e della Coca Cola", questo La Battaglia dei Sessi è per contro una commedia sui figli della Rolls-Royce e le figlie di Simone de Beauvoir. Per ovvie ragioni il paragone è blasfemo, anche perché La Battaglia dei Sessi non mira ad essere un "oggetto politico" così come non vuole essere un documento sportivo. Questo perché lo scopo del cinema di Dayton e Feris è sempre quello di compiacere gli spettatori, che generalmente entrano in sala con determinate certezze ed escono felici del fatto che queste non siano state messe in discussione durante la visione. Se questa non è di per sé una cosa negativa ma una semplice dichiarazione programmatica, messa in chiaro già con Little Miss Sunshine, la materia sociale ed antropologica della storia stavolta sembra non adattarsi ad uno sguardo cinematografico che cerca costantemente la bonaria simpatia e la rassicurante tenerezza. Quindi il maschilista Riggs non sarà mai davvero vile e patetico ma piuttosto un (simpatico) freak e la crociata di Billie Jean King non sarà narrata con la disillusione di chi sa che quella parità tra sessi non è stata ancora raggiunta ma esaltando la (tenera) tenacia della protagonista.
Ad essere centrale nella narrazione non è quindi la competizione agonistica o lo scontro tra personalità diverse, quanto la percezione opposta che i protagonisti hanno del match che devono affrontare. Se per Riggs è una operazione di marketing il cui scopo finale è esclusivamente monetario, Billie Jean si fa carico delle speranze di una categoria discriminata. La sola scena davvero azzeccata ed evocativa è infatti quella che mostra con il montaggio alternato i due differenti allenamenti: quello goliardico e caricaturale di Carell e quello serissimo ed estenuante della Stone.
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