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Fiore

Regia di Claudio Giovannesi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Fiore

di laulilla
6 stelle

Presentato quest’anno a Cannes, alla Quinzaine des Réalisateurs, questo piccolo film di Claudio Giovannesi ci ripaga, in parte, delle delusioni di questa stagione un po’ magra di racconti cinematografici convincenti. La pellicola narra, con uno sguardo attento e affettuoso, le vicende degli adolescenti Daphne e Josch (rispettivamente interpretati da Daphne Scoccia e Josciua Algeri), che vivono la loro difficilissima età nell’ambiente triste e deprimente di un carcere minorile. Di Josch non si sa molto: si trova lì per una rapina e dice di avere una ragazza che non vuole aspettarlo fino al  termine della sua pena; di Daphne il regista tratteggia un po’ meglio la storia: anche lei è lì per rapina, poiché si impadroniva, armata di un piccolo pugnale, dei cellulari dei coetanei all’uscita della Metropolitana di Roma. Si intuisce (il regista non ce ne parla) il deserto affettivo della sua infanzia e il desiderio di un riferimento familiare, che sembrerebbe concretizzarsi, almeno in prospettiva, allorché il padre (un ottimo Valerio Mastandrea), da poco uscito di galera e ora convivente con una compagna straniera e suo figlio, torna a farsi vivo con lei e va a visitarla. Non è facile, però,  capire che cosa sia davvero importante per Daphne, essendo, come tutti gli adolescenti, combattuta fra desideri e impulsi violentemente contraddittori, che nessuna amorevole guida le ha insegnato a chiarire e a contenere all’interno di un progetto importante per il futuro. La repressione ottusa, d’altra parte, sembra essere la preoccupazione principale per il personale di quel carcere, soprattutto dopo che la scoperta di un fitto scambio di bigliettini fra lei e Yosh rivela la forte corrente di attrazione amorosa che si è creata segretamente fra i due ragazzi. I due giovani sono immediatamente separati, ciò che rende possibile un breve permesso-premio per lei, accettata provvisoriamente, senza troppo entusiasmo, nella nuova famiglia paterna. Ora nella mente di Daphne diventa chiaro che da quella parte nessun aiuto le arriverà: non le resta che ritrovare Yosh e prevedere il futuro insieme a lui.

Non intendo svelare altro di questo film, che racconta, in modo non del tutto nuovo due adolescenze difficili e probabilmente senza futuro. Ritengo che i precedenti si possano ritrovare in molto cinema francese (Truffaut, Bresson), o francofono (Dardenne), come è stato notato da molti. Personalmente lo trovo più vicino al mondo duro e disperato di Non essere cattivo, soprattutto per quel finale dolce ma senza futuro, che al di là delle migliori intenzioni, non potrà che ricacciare i protagonisti nella disperazione da cui provengono.

Molto interessanti, invece, alcuni precedenti letterari riconoscibili, da Manzoni (l’analisi dell’adolescenza inquieta della fragilissima Gertrude, lo scambio dei messaggi che la perderanno, la presenza di un padre idealizzato, ma lontano dalla comprensione dei suoi bisogni profondi), al Pasolini dei romanzi disperati. I punti di forza sono nella bellissima fotografia, nello sguardo intelligente e sempre “giusto” di un’attrice straordinaria, del tutto nuova in questo ruolo (Daphne Scoccia faceva la cameriera in un bar quando fu notata da Giovannesi), ma certo sensibilissima e bravissima interprete, insieme a Mastandrea, nonché nella bellezza delle inquadrature ispirate, sia pure con molta libertà, alla tradizione della pittura italiana più alta (la stessa immagine della locandina evoca lontanamente la Sibilla di Michelangelo). Un film da vedere.

 

laulilla.wordpress.com

 

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