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L'India vista da Rossellini

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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The Killing Joke

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La recensione su L'India vista da Rossellini

di The Killing Joke
8 stelle

L’India vista da Rossellini, serie di trasmissioni televisive per la rubrica I viaggi del telegiornale, rappresenta – insieme al film India Matri Bhumi (1959) – la testimonianza di un’esperienza fondamentale per la vita e la carriera del regista; un punto di non ritorno attraverso il quale egli ritrova, nell’osservazione ingenua del reale, quella fonte d’ispirazione affievolitasi dopo anni di cinema-spettacolo.
Rossellini, in studio, introduce, commenta fuori campo le immagini e conversa con il presentatore Marco Cesarini Sforza, rispondendo via via alle domande che gli vengono poste. Fin dall’inizio, però, ci si accorge che questo non è il tradizionale reportage televisivo o il classico documentario cinematografico. Quelli di Rossellini, come sottolinea Cesarini Sforza, sono gli «appunti di un viaggiatore con gli occhi aperti alla realtà che lo circonda», per cui non si tratta di «proiezioni organizzate secondo un arco narrativo, con una sceneggiatura precostituita».
Le dieci puntate (India senza miti; Bombay, la porta dell’India; Architettura e costume di Bombay; Varsova; Verso il Sud; Le lagune di Malabar; Il Kerala; Hirakud, la diga sul fiume Mahadi; Il Pandit Nehru; Gli animali in India) ripercorrono il viaggio del regista: vediamo Rossellini al seguito di Nehru (in Orissa e nel Bengala), visitare la giungla di Karapur, il Karnataka, la città santa di Madurai, le lagune di Malabar, il Kerala.
In tutte queste località, percorrendo migliaia di chilometri nell’arco di dieci mesi (dal dicembre 1956 all’ottobre 1957), il regista gira un’infinità di materiale (in 16mm Kodachrome) immergendosi in una realtà che le riprese trasformano prima in testimonianza di un’esperienza e poi in esperienza conoscitiva per il pubblico.
L’approccio di Rossellini all’India, nel corso delle puntate, si delinea attraverso una serie di tematiche alle quali l’autore fa più volte riferimento: sogno e contemplazione, razionalità, confronto tra diverse culture, concezione della storia e della temporalità, sacralità della natura e modo d’intendere l’arte. In questo modo egli affronta sia il proprio vissuto sia, cercando di sfatarli, i diversi preconcetti riguardanti l’India – favoriti anche dalla letteratura d’avventura –, che dominavano il modo di pensare dell’Italia di allora.
Queste trasmissioni ci restituiscono la realtà umana e sociale dell’India di oltre mezzo secolo fa. La quotidianità di fatti e personaggi, la naturalezza dell’ambiente balzano agli occhi proprio grazie all’immediatezza e genuinità delle immagini, le quali offrono una  rappresentazione sfaccettata e problematica della realtà, cercando di stimolare lo spettatore e di suscitare in lui una riflessione su quanto visto. 
Al di là delle intenzioni del suo autore, la serie (trasmessa dal 7 gennaio all’11 marzo 1959) non ha però molta fortuna. Probabilmente ciò è da attribuirsi anche a Cesarini Sforza, che si rivela presentatore mediocre. Da questo punto di vista, è sicuramente più apprezzabile la versione francese (J’ai fait un beau voyage) condotta da Étienne Lalou e andata in onda quasi contemporaneamente a quella italiana:dall’11 gennaio al 6 agosto, sull’ORTF. 
L’India vista da Rossellini, insieme a India Matri Bhumi, doveva rappresentare per il regista il primo passo verso un nuovo percorso: una serie di film-inchiesta, sia documentari sia film di finzione, volti ad affrontare i problemi più urgenti del mondo contemporaneo (in primis quelli del Sudamerica). Il progetto, però, non vedrà mai la luce e nel giro di pochi anni l’interesse per la ricerca geografica lascerà il posto a quello per la scienza e la storia dei film televisivi.
Ciò nonostante, le trasmissioni dedicate all’India fungono da anticamera di quel cinema didascalico che Rossellini realizzerà subito dopo e che lo porterà alla scelta della televisione come strumento principale per la diffusione del sapere. Infatti, per quanto L’India vista da Rossellini sia priva di quella dimensione storica che sarà alla base del lavoro futuro, l’idea di fondo (usare la televisione per far riflettere la gente) è già chiara. 

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