Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Una delle rivelazioni degli anni ’90. Tarantino scende in campo con un gioiello di sceneggiatura e una compagnia d’attori in stato di grazia, riportando in auge il vecchio noir/gangster movie iniettandogli DNA dai classici e linfa vitale estratta dal cinema di Hong Kong, non disdegnando di inzupparlo nell’aspra salsa con cui erano conditi i brutali B-/exploitation movie d’una volta. Soprattutto però costruisce una complessa ma incredibilmente fluida struttura narrativa fondata su uno scompaginamento cronologico rielaborato con grande senso tattico. Architetta la nuova combinazione temporale con ponderati flashback inseriti con intelligenza in un incastro ideale: i momenti clou non vengono mai meno ed uno di essi, in particolar modo, per complessità e bellezza assume un ruolo davvero emblematico poiché - oltre a metterlo spudoratamente a nudo - amplia il discorso cinematografico sottinteso nell’intricato viluppo, ossia: narrazione e metodologia del raccontare, realtà e finzione, verità filmica ed inganno, recitazione e manipolazione, e via discorrendo. Anche l’elemento spaziale è stato particolarmente curato: grande profondità visuale e meticolosa cura nel posizionare i vari attori (emblematica la scena finale). Ingegnosamente, non mostra il possibile evento catalizzatore (la rapina), conservandone tutta la drammaticità negli effetti consecutivi. Un meccanismo perfetto ed avvincente irrobustito da portentosi dialoghi che recidono, loro sì, come una lama di rasoio.
Granitica, ruvida e sanguigna. Indovinatissima.
Alcuni pensavano ad un bluff. "Pulp Fiction" e "Jackie Brown" hanno dimostrato il contrario. E a livello di plot ha un pennino d'oro.
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