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Giovinezza giovinezza

Regia di Franco Rossi vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Giovinezza giovinezza

di yume
8 stelle

La sapienza registica di Franco Rossi è tutta nel far intuire, senza mai calcare la mano, caratteri, umori, percorsi interiori, condizionamenti ambientali e dinamiche di un momento traumatico di storia del Paese.

Da inno degli Arditi (1917) a inno degli Squadristi (1919) e, infine, inno trionfale del Partito Nazionale Fascista (1924), Giovinezza, giovinezza ne ha fatta di strada fino ad imporsi come simbolo di un’epoca, di un costume, di un’identità che molti ancora fanno fatica a dimenticare, o neppure vogliono.

Nel ’69 Franco Rossi, uno di quei registi del nostro cinema anni Sessanta immeritatamente oscurati da colossi come Fellini, Visconti, Antonioni, scelse di trarre dal romanzo "Giovinezza Giovinezza" di Luigi Pretie usare anche per il suo film quel titolo ambivalente, che parla di giovinezza (i tre protagonisti sono ventenni, poco più, poco meno) ma che di quella giovinezza non possono, se non per poco, avere la beata incoscienza, la magia del sogno, le facili felicità.

I giovani fra le due guerre appartennero ad una specie particolare, troppo immaturi per capire e già troppo adulti per non pagarne il triste pedaggio.

Era l’Italia “fascistissima” che correva senza freni verso la catastrofe.

Qualche storia esemplare, qualche martire, giovani che indicarono la strada a prezzo della vita non bastarono a fermare l’onda di piena, i regimi hanno sempre investito molto sui giovani e gli slogan hanno facile presa su di loro.

Quando finalmente si toccò il fondo negli anni Quaranta e guerra e lager nazi-fascisti rivelarono “di che lacrime grondi e di che sangue … lo scettro ai regnatori” era ormai troppo tardi, la giovinezza se n’era andata e con lei tutte le belle favole a cui quei giovani avevano creduto con fede imperitura.

 Giovinezza, giovinezza bisognerebbe guardarlo a partire dall’ultima scena, quel malinconico sfumato fra le brume del delta padano, con la facciata austera e signorile di Villa Saracena, teatro della storia, che guarda il fiume, vuota di vita e di colore, mentre la voce fuori campo ci racconta brevemente dei trenta anni successivi e di vite segnate da una sola parola, perdita.

 

Ferrara, 1936-1941. Giordano (Roberto Lande) e Mariuccia (Katia Moguy), fratello e sorella, appartengono alla buona borghesia agraria ferrarese.

Il padre, gerarca fascista della prim’ora, esercita la propria autorità sui figli secondo i canoni consueti in famiglie-bene dell’epoca, protettivo e impositivo con la figlia, destinata ad un matrimonio di convenienza, liberalmente aperto con Giordano, il maschio che vorrebbe erede di tutte le sue idee e dei cospicui beni.

Ma se Mariuccia vive con leggerezza di farfalla quegli anni in cui la sua bellezza risplende e il mondo sembra accoglierla in un guscio ovattato, Giordano sta maturando un dissenso che diventerà ben presto aperta ribellione e adesione a bande clandestine di opposizione al regime.

Il terzo polo è rappresentato da Giulio (Alain Noury), compagno di Università, figlio di un sarto antifascista che vive appartato una vita grigia di lavoro e scarse parole.

La differenza di ceto sociale non pesa a nessuno dei tre, legati fin dall’infanzia da un’amicizia profonda che inevitabilmente si trasformerà, con gli anni, in timido e silenzioso amore di Giulio per Mariuccia.

La sapienza registica di Franco Rossi è tutta nel far intuire, senza mai calcare la mano, caratteri, umori, percorsi interiori, condizionamenti ambientali e dinamiche di un momento traumatico di storia del Paese.

I tre ragazzi sono entità autonome ma anche pedine di un grande e tragico gioco, la loro età giovane è l’età eterna dei giovani di tutti i tempi, con l’innocenza e le pulsioni di sempre, ma sullo sfondo il Fascismo procede inarrestabile con la proclamazione dell'Impero e la guerra di Spagna, e se a Villa Saracena o per le strade di Ferrara la vita sembra scorrere senza scosse, una sottile sensazione di inquietudine e disagio si avverte.

Gli orrori del regime, le leggi razziali e infine lo scoppio della guerra sono realtà di cui è impossibile ignorare la presenza e ancor meno possibile non venirne travolti.

Quelle vite prendono direzioni diverse, sono percorsi di formazione in tempi difficili, dunque le strade saranno irte di errori, difficoltà, sconfitte.

Giulio aderisce al Fascismo, Giordano prende la strada opposta, la guerra farà il resto.

Fronti di guerra in Jugoslavia, in Grecia, carcere e clandestinità, Mariuccia sposa e ben presto resta vedova di un aviatore che ha combattuto in Spagna, nulla che somigli ai giorni sereni della giovinezza spensierata, nulla che si possa definire il coronamento di un sogno, la realizzazione di un progetto. Un sodalizio che sembrava eterno finisce nel nulla, i tre amici non s’incontreranno più.

 

La storiografia ufficiale s’interessa poco di storie minime, troppo private per far parlare di sè, eppure il cinema c’insegna quanta profondità risieda in questa terra di nessuno dove si affollano i senza nome che ogni giorno nuotano senza direzione, con la testa nell’acqua, spesso senza capire dove sono, ancor più spesso credendo di aver capito tutto.

Il futuro di Mariuccia, Giordano e Giulio è dietro quella facciata vuota della villa avvolta dalla nebbia padana, le redenzioni e le comprensioni apparterranno tutte ad un’età diversa, amara, consapevole, ma la giovinezza è stata rubata, ridotta ad una brutta canzonetta spacciata come inno alla gioia dei tempi nuovi.

La fotografia di Vittorio Storaro e le musiche di Piero Piccioni collaborano da par loro alla realizzazione di un film troppo poco conosciuto e finalmente approdato nelle teche di Rai Storia.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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