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High Life

Regia di Claire Denis vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su High Life

di maurizio73
6 stelle

Nel sasso di speranza lanciato a velocità relativistiche verso un orizzonte degli eventi che non raggiungeranno mai, l'eterna persistenza del più nobile tra i sentimenti nell'ergosfera di una singolarità in cui si sublima quanto di meglio possa essere nato da quanto di peggio la razza umana potesse spedire da quelle parti.

Il viaggio interstellare di un equipaggio di galeotti ha il duplice obiettivo di testare innovative tecniche di riproduzione assistita e raggiungere il buco nero più vicino da utilizzare come possibile sorgente energetica. Dopo la prematura scomparsa di tutti gli altri passeggeri, il giovane Monte rimane da solo ad allevare la figlioletta Willow, con la sola prospettiva dell'oscuro destino che li attende nelle prossimità dell'ormai incombente orizzonte degli eventi.

 

locandina

High Life (2018): locandina

 

Low Life, High Gravity

 

L'inesauribile curiosità dell'autrice francese Claire Denis per la proteiforme complessità della natura umana, risolta molto spesso con l'incursione nelle regioni inesplorate della psiche come in quelle altrettanto liminari a cavallo tra cultura e istinto, si arricchisce del un nuovo tassello di una speculazione antropologica che proietta conflitti sociali e problemi etici molto al di là dell'orbita terrestre, relegando i reietti di un innovativo esperimento carcerario nella galera di una deriva cosmica in cui la retroazione negativa di controllo sui reclusi è affidata all'obbligo di costanti rapporti da rilasciare al computer di bordo e la continuità della specie in costanza degli obiettivi da perseguire alla variabilità delle ricombinazioni genetiche che garantiscano una prole resistente alle radiazioni ionizzanti dell'ambiente spaziale. Come spesso succede nelle sue opere, anche qui la pluralità di tematiche spesso contradditorie trova la sintesi di una efficace integrazione tra aspetti sociali e dilemmi etici in un meccanismo claustrofobico concepito come un vero e proprio esperimento multidisciplinare; la regola di un contrappasso in cui diversi sociopatici sono costretti a convivere per un lungo viaggio interstellare senza ritorno, confidando nel vantaggio di una reciproca sopravvivenza e nell'obbligo di una mansione di servizio strettamente connessa alla natura delle rispettive colpe: una ginecologa-Medea alle prese con la riproduzione assistita, un ex assassino-bambino costretto ad allevare una figlia frutto di un doppio stupro (il suo e quello di un'altra galeotta), una aviatrice rea di chissà quali misfatti destinata alla spaghettificazione gravitazionale nel sorvolo di un buco nero, e così via di seguito. Insomma le provocatorie e sconcertanti frontiere di una tale e postmoderna deiezione classista, secondo la Denis, consistono in questa umanità in barattolo (in realtà si tratterebbe di più missioni spedite in successione e con equipaggi diversi verso la stessa destinazione) messa in condizioni estreme, privata del piacere (il sesso è autonomo ed esclusivamente riproduttivo, mentre per altro c'è una cronemberghiana fuck-box) e della speranza, costretta a dare prova della spaventosa resilienza cui anche la frazione meno nobile della stirpe umana sarebbe capace. Dall'interno all'esterno poi, in un continuo rimando simbolico, perfino l'ipnotica inflorescenza di paesaggi astrali, tra ammassi globulari impenetrabili come ovuli e nubi molecolari giganti che si aprono come vagine di altrettante nursery cosmiche, evocano la circolarità di un processo evolutivo e ciclico che sembra dominare la logica di un universo comunque destinato ad accogliere la vita. Se le intenzioni ciniche e disumane di un siffatto esperimento rimangono costantemente fuori quadro e lontane ormai decine di anni luce, è chiaro che il processo sembra distillare strada facendo le diverse frazioni della natura umana, tra la perversione onanistica del piacere sessuale, la brutale regolazione dei rapporti di potere, l'istinto protettivo nei legami di sangue e perfino l'inevitabile conflittualità tra la cultura dei tabù e le naturali tentazioni dell'attrazione incestuosa; tra la discontinuità rappresentata dall'individualità esasperata di esseri disperati ed una continuità rappresentata soltanto dalla morte o dall'amore, sembra essere quest'ultimo il solo valore nell'orizzonte semantico del film cha l'autrice pare perseguire, un sasso di speranza lanciato a velocità relativistiche verso un orizzonte degli eventi che non raggiungeranno mai (nella performance scenografica dell'artista Ólafur Eliasson); l'eterna persistenza del più nobile tra i sentimenti nell'ergosfera di una singolarità in cui si sublima quanto di meglio possa essere nato da quanto di peggio la razza umana potesse spedire da quelle parti. E dire che le veementi rismostranze contro la natura ambigua e provocatoria del film in occasione della prima al Toronto International Film Festival 2018 ci avevano come sempre fatto pensare al peggio.

 

 

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