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Confortorio

Regia di Paolo Benvenuti vedi scheda film

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La recensione su Confortorio

di Peppe Comune
8 stelle

Roma,1736. Angeluccio della Riccia (Franco Pistoni) e Abramo Cajvani (Emanuele Viterbi Carucci) sono due ebrei che vengono arrestati con l’accusa di furto e condannati alla forca. Ma la loro colpa più grande è quella di essere di religione giudaica e, come prescrive la regola, compito precipuo dei padri confortatori dell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato è quello di cercare di convertirli fino al limite delle loro esistenze : per cercare di affrancare almeno le loro anime dalle fauci menzoniere di una “falsa religione” e prepararle al meglio per ricevere il dono della vita eterna.

 

http://www.indie-eye.it/cinema/wp-content/uploads/confortori-300x208.jpg

Confortorio - Franco Pistoni

 

Paolo Benvenuti è un aurore estremamente rigoroso, il suo è un cinema ricondotto alla pura essenzialità dell’atto e al valore filologico della storia, con una pulizia dello sguardo che arriva a conferire solennità ad ogni immagine in movimento ed una coerenza stilistica che serve a tenerlo lontano dalle sirene modaiole del momento. Molto attento alla ricerca storiografica attraverso le documentazioni d’archivio, Benvenuti sembra usare la storia come scandaglio intellettuale del “carattere di una nazione”, ostinandosi a raccontare storie lontane che nessuno vuole più conoscere come per invitarci a riprendere il filo con gli echi lontani di una voce mai sopita. E’ così quando segue la caccia che le forze dell’ordine danno al brigante Tiburzi sui monti della maremma (“Tiburzi”), quando si attacca al terrore panico di Monna Gostanza accusata di stregoneria dalle autorità religiose (“Gostanza da Libbiano”) o quando rilegge i tragici fatti di Portella della Ginestra alla luce di elementi indiziari mai messi precedentemente in risalto (“Segreti di Stato”) : i protagonisti delle storie che racconta sono tutti interpreti di un destino molto più grande di loro che da tempo ha smesso di appartenergli, i collanti tra la grande storia che procede imperiosa il suo cammino e gli episodi accidentali di piccoli uomini che rimangono piantati alle posizioni di sempre. Non sfugge certo a questo schema narrativo “Confortorio” (nei titoli di coda si legge che “I fatti narrati in questo film sono realmente accaduti. La relazione di questo Confortorio è stata pubblicata in Anonimo religioso, La giustizia degli Ebrei, Carucci editore, Roma1987 e in Le “croniche” della famiglia Citone, Edizione di storia e letteratura, Roma 1988), perché come il brigante Tiburzi, Monna Gostanza e la banda di Salvatore Giuliano (e mi limito ai film che conosco, di Paolo Benvenuti mi mancano "Il bacio di Giuda" e "Puccini e la fanciulla", il primo e l'ultimo praticamente) anche Angeluccio ed Abramo, ben al di là delle colpe reali che gli sono proprie, di fronte alla storia in divenire, sono portatori di una colpa inestinguibile, quella di non essere in linea con il senso comune dominante. In questo film siamo condotti nei meandri dell’assolutismo religioso, tra i ricami liturgici di una pratistica che si impone sull’uomo e i dedali storicizzati di un fanatismo “garbatamente” esibito. A emergere prepotente, non è tanto lo strenuo tentativo dei padri confortatori di convertire due giudei alla “santa” religione cattolica, quanto l’ostinata resistenza dei due uomini, una resistenza che segue cause terrene direi, fatta di cose concrete e non di un agire speculativo, del riconoscimento della propria identità culturale e non di un’appartenenza acritica a una comunità di credendi. Una resistenza quindi che, più che essere il frutto di una religiosità sentita con fervida convinzione, sembra rispondere all’urgenza etica di non lasciarsi imporre un atto di abiura. Gli ambienti sono chiusi, la solennità dei canti contrasta con la rigidità delle posizioni dogmatiche e l’austerità del luogo tende ad accentuare il carattere mistificatorio delle parole. C’è lo scontro tra l’imposizione fideistica di un credo che non accetta ragioni e delle ragioni umane rimaste inascoltate per troppo tempo. Il tutto raccontato con grande rispetto dei fatti ed efficace aderenza allo spirito dei tempi. Infine, mi preme sottolineare che, ben oltre le implicazioni storiche che ne permeano i contenuti e le peculiarità formali che ne caratterizzano lo stile, quello di Paolo Benvenuti è un cinema civile che sa sfuggire ottimamente ai tranelli moralistici del racconto a tesi, dai forti connotati documentaristici senza essere eccessivamente didascalico. Un cinema puro, insomma, che, in un paese abbastanza ammalato di provincialismo come l’Italia, non riesce ad emergere in tutta la pregevolezza artistica che gli si dovrebbe riconoscere.

 

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