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Le notti di Chicago

Regia di Josef von Sternberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Le notti di Chicago

di ed wood
7 stelle

"Le notti di Chicago" è considerato un precursore della breve ma intensa stagione del gangster-movie anni 30, prima che il codice Hays entrasse in vigore. Appartenente alla fase più matura del cinema muto hollywoodiano, è un oggetto anomalo nel percorso di Sternberg, subentrato in cabina di regia dopo l'abbandono di Rosson. Soggetto, ambientazione e sviluppo narrativo c'entrano poco coi futuri capolavori del viennese; al tempo stesso, però, sono evidenti le differenze che intercorrono tra questo film e i futuri "Nemico pubblico" e "Scarface". Quelli di Wellman e Hawks erano gangster-movie in senso stretto, per quanto intrisi di elementi da tragedia greca, mentre quello di Sternberg assomiglia più ad un melodramma (anch'esso con sottofondi tragici) sullo sfondo di un "underworld" scandagliato dal soggettista Ben Hecht con meticoloso afflato caricaturale, fra bulli, pupe e clown (niente meno che "Ridolini" nei panni del buffo Slippy Lewis). E' un menage-a-trois, con quarto incomodo, che sottende un tema fondamentale: la "impotenza del potente", l'ansia sotterranea che attanaglia chi crede di avere il mondo ai suoi piedi ("The world is yours" recita una seminale insegna al neon) camuffata da arrogante spavalderia, il seme della follia inutilmente sepolto da virili pose da bruto. Bull Weed si fa soffiare la donna dal suo servo e, quando ne ha la conferma, non riesce a reagire con la consueta ferocia, ma accetta mestamente la sconfitta e accetta di morire. Questa umiliazione del "maschio dominante", questo impulso masochista sono già pienamente sternberg-iani e anticipano i suoi anti-eroi degli anni 30, pover'uomini soggiogati dalla diva Marlene. Purtroppo il film sconta alcuni difetti che gli impediscono di qualificarsi come un capolavoro, dalla recitazione fin troppo caricata (a parte la sensuale "lady in feathers" Evelyn Brent) all'impaccio nelle scene d'azione, dalla opaca definizione delle dinamiche psicologiche (specialmente dell'amante "Rolls Royce" e dello psicotico Buck Mulligan) ad una parte finale un po' macchinosa. Tuttavia resta un'opera preziosa sia perchè effettivamente offre molti spunti al futuro cinema del crimine (l'assedio finale è già "Scarface"), sia perchè la messinscena annuncia certi barocchismi distintivi del suo autore: sovrabbondanza di piani e di inquadrature, gestione caotica dello spazio scenico, gusto dell'eccesso scenografico (il party col salone inondato di festoni; l'abito "glam" della Brent).

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