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Allied - Un'ombra nascosta

Regia di Robert Zemeckis vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Allied - Un'ombra nascosta

di laulilla
5 stelle

Si può vedere, anche solo per curiosità, ma rivedere Casablanca, subito dopo, è un imperativo categorico, poiché “We’ll always have… Casablanca” (per fortuna!). Perdonate la voluta imperfezione della mia citazione!

Siamo a Casablanca, nei primi anni ’40, dopo che i tedeschi avevano occupato militarmente il Marocco, colonia francese alle dirette dipendenze del governo collaborazionista di Vichy.
Il “quebecquois” Max (Brad Pitt) era stato paracadutato (letteralmente) dal controspionaggio inglese nel deserto del Marocco per prendere contatti operativi con la spia della Resistenza francese Marianne (Marion Cotillard), infiltrata fra gli occupanti nazisti per fornire informazioni sui loro movimenti. I due avrebbero dovuto fingersi marito e moglie, coll’obiettivo di permettere a Max di compiere una rischiosissima missione, che solo l’apporto di lei aveva reso possibile.
Ormai “bruciato”, dopo l’azione che aveva concluso con successo, Max era stato trasferito a Londra: nessuno, ovviamente, si era preoccupato dell’amore passionale che quasi subito era nato fra lui e Marianne, largamente prevedibile, per altro, visto che entrambi erano giovani, solidali negli ideali politici, e costretti a convivere.  La richiesta di sposarla, col conseguente avvio di scrupolose indagini sulla vita di lei che avevano allontanato ogni dubbio sulla sua correttezza, ne aveva permesso la partenza per Londra (dove, successivamente si sarebbe celebrato il matrimonio). Era passato parecchio tempo dai giorni di Casablanca: Marianne era incinta e al suo arrivo, ancora dentro all’aeroporto e sotto il primo bombardamento tedesco, avrebbe fatto nascere la loro bambina. Un’abitazione defilata in campagna li attendeva: lì lei avrebbe fatto la madre, mentre lui avrebbe continuato a servire la causa della libertà con le sue missioni pericolose.
La Germania nazista, intanto, stava mettendo a ferro e fuoco l’Europa continentale e la stessa Gran Bretagna: alcune delle sue città erano distrutte dai bombardamenti, mentre alla popolazione, colta all’improvviso dall’immane tragedia, erano richieste lacrime e sangue, senza eccezioni, per affrontare il pericolo mortale che incombeva, cosicché la storia privata dell’amore felice di Max e Marianne era costretta a misurarsi con gli eventi  che stavano sconvolgendo la vita di ciascuno. I servizi segreti, infatti, avevano deciso di indagare più a fondo su di lei, sui suoi documenti, sul suo passato, poiché era sembrato che non tutto fosse stato chiarito ed era sorto il dubbio che  fosse in realtà una spia dei nazisti…
Questo è, a grandi linee, ciò che è narrato nella prima parte del film ed è anche ciò che ritengo si possa dire ai lettori evitando ulteriori spoiler, affinché la storia non perda parte del suo interesse.

Il regista, Robert Zemeckis, conduce l’intera vicenda con una certa abilità, dirigendo uno staff di prim’ordine, affiancato da un bravissimo regista (Locke) come Steven Knight, qui con funzioni di sceneggiatore, oltre che da Marion Cotillard e da Brad Pitt, mostri sacri della recitazione (per la verità la recitazione di Brad Pitt mi è parsa poco espressiva). Il film, però, come spy-story non è davvero il meglio che ci si possa attendere: manca di mistero e di tensione. Se proprio occorre una definizione, lo definirei un mélo con frequenti scivolate verso il feuilleton, soprattutto nella seconda parte. Non è tuttavia un film privo di interesse se lo si considera una specie di repertorio citazionista mirato soprattutto alla ricostruzione degli stilemi che nel corso degli anni ’40 a Hollywood avevano dato l’impronta inconfondibile ad alcuni film di Hitchcock, nonché ai film d’amore e di guerra, primo fra tutti Casablanca, il capolavoro di Michael Curtiz. Casablanca è onnipresente nel film, nella prima parte (gli esterni della città, il mercato con i suoi venditori, i cammelli, l’uccisione dell’ufficiale nella cabina telefonica, gli abiti eleganti e d’epoca degli uomini e delle donne col loro trucco pesante), ma anche, checché se ne dica, nella seconda parte in cui, proprio alla fine, compare il pianoforte, decisivo per scoprire la verità, accompagnato dall’invito, più volte reiterato, a suonarlo (“play it, Sam” chi può dimenticarlo?).
Il confronto fra film così lontani non è possibile e, forse, anche ingiusto; sicuramente, per Zemekis, diventerebbe impietoso, perché assai poco questo suo film è dotato di fascino e di vera capacità di coinvolgerci: ricostruisce ambienti e atmosfere, ma è, almeno secondo me, finto, quasi kitsch.

Si può vedere, anche solo per curiosità, ma rivedere Casablanca, subito dopo, è un imperativo categorico, poiché
“We’ll always have… Casablanca” (per fortuna!). Perdonate la voluta imperfezione della mia citazione!

 

laulilla.wordpress.com

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