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Rogue One: A Star Wars Story

Regia di Gareth Edwards vedi scheda film

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La recensione su Rogue One: A Star Wars Story

di Immorale
7 stelle

La Forza, prima della speranza.

L’universo di Star Wars è in espansione. Infinita, volendo scegliere soggetti tra i mille rivoli delle due trilogie passate e della terza in corso; “Rogue One” potrebbe essere quindi definito quasi uno “spin-off”, ad una lettura singola(re) da non adepto. Oppure, per i molti iniziati, un ulteriore approfondimento del mondo “inventato” da Lucas un quarantennio fa.

 

 

Con una maggiore libertà espressiva e qualche piccola novità filologica: la Forza viene infatti poco citata, ma quando viene evocata ha la forma di mantra religioso, dottrinalmente ortodosso, molto differente dagli afflati “New Age” anni 70. In questo gli sceneggiatori Chris Weitz (“Z la formica” del 1998, “La bussola d’oro” del 2007) e Tony Gilroy (tutta la saga di Bourne, “L’avvocato del diavolo” del 1997), unitamente al regista Gareth Edwards azzardano quasi la lesa maestà dell’immaginario finora costruito; ma, fortunatamente, il loro tocco “gentile” risulta ben integrato nel racconto di questi ribelli intergalattici e della loro epica impresa, da “chanson de geste” di un filone cavalleresco (cinematografico) moderno. Siamo lontani anni luce, insomma, dalle grevi (per chi scrive) apostasie de “Il risveglio della Forza”, maldestro tentativo di innovare il filone “uccidendo” un mondo di fantasia (e le sue regole) costruito in 6 film per un pubblico multigenerazionale.

 

 

Soggetto stuzzicante, dicevamo, e resa pratica agile e coinvolgente, che non poteva ovviamente esimersi da qualche cliché o aggancio con personaggi oramai indissolubili dalla materia filmica; pertanto la formazione del gruppo eterogeneo, il viaggio, l’avventura e il sacrificio personale sono fasi non originali ma ben raccontate, grazie anche ai buoni effetti speciali (onnipresenti) che la fanno da padrone, senza però annullare l’apporto umano ma bensì integrandosi col discreto piglio drammatico degli attori coinvolti. Si abbonda a tratti solamente di una ridondante (forse inevitabile) enfasi e si pecca di qualche ingenuità tecnica (le mimiche digitali dei due personaggi “vintage”) e nei dialoghi (gli alleggerimenti, spesso poco incisivi).

 

 

Per il resto, l’Impero Disney colpisce ancora.

 

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