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Rogue One: A Star Wars Story

Regia di Gareth Edwards vedi scheda film

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La recensione su Rogue One: A Star Wars Story

di lussemburgo
10 stelle

Inizia come le altre pellicole della saga anche Rogue One, con un campo lungo stellare e una panoramica verso un pianeta ad incipit della narrazione, ma il film di Edwards non è soltanto il primo esperimento cinematografico non facente parte integrante di uno dei trittici attraverso cui si sviluppa la storia della famiglia Skywalker perché offre, soprattutto, una prospettiva inedita sull’universo espanso di Star Wars.

Molti elementi tipici e rappresentativi di Guerre Stellari vengono mantenuti, seppure variati di intensità e segno, come la definizione dei membri della Resistenza, molto più compromessi con la difficoltà della guerra clandestina e delle scelte morali inerenti alla ricerca di una vittoria a tutti i costi. O come il droide d’accompagnamento K-2SO, spalla indispensabile dell’azione ma non più figura di mero alleggerimento comico, bensì sguardo cinico e dolente delle distruzioni in atto e in cui la meccanicità del corpo stride con la sofferenza dello sguardo e delle parole. Tutti i componenti del canone di Guerre Stellari sono infatti virati drammaticamente, come l’iconografia di Darth Vader, sempre inquietante, recuperata mostrando adesso il personaggio mostrato all’opera sia nelle vesti di stregone maligno che di Jedi dedito al lato oscuro, capace di sfruttare con fatale facilità le doti telecinetiche quanto quelle guerriere. O la stessa Morte Nera, il cui imponente gigantismo appare ora maggiormente evidente nella nuova prospettiva delle inquadrature, mentre la sua potenza distruttrice viene mostrata all’opera con grafica concretezza; gli effetti dell’impatto del raggio del planetoide imperiale su mondi e esseri viventi, dove provocano una devastazione non dissimile da un’esplosione atomica elevata in potenza, imprimono una nuova drammaticità ad eventi già raccontati e giustifica, senza ulteriori argomentazioni, l’affannosa e disperata ricerca della alleanza ribelle nel distruggere il vascello nemico, sì da ridare significato al sottotitolo aggiunto al primo capitolo cinematografico, Una nuova speranza.

Perché, effettivamente, la speranza diventa l’unica ragione di vita e di consapevole morte per eroi destinati all’oblio, ad un sacrifico di cui solo gli effetti saranno imperituri, non la fama postuma da milite ignoto. Ed è nella scelta di un forte realismo una delle chiavi di approccio inedito al canovaccio della saga di Lucas che imprime alle immagini un’indiscutibile credibilità drammatica e una diversa empatia rispetto alle precedenti realizzazioni. Questa qualità, tipica delle regie di Edwards, si riallaccia a una fantascienza che ripercorre criticamente l’attualità pur senza rinunciare allo spettacolo (come l’intera filmografia di Neill Blomkamp) e che rielabora il fantastico in chiave contemporanea sia nelle invasioni territoriali di Monsters che nelle conseguenze dell’impatto umano sull’ambiente di Godzilla. Non è allora difficile vedere assonanze col presente nella guerra sporca dei ribelli, che diventa guerriglia urbana in paesaggi dalle caratteristiche mediorientali, con dovizia di danni collaterali e di attacchi kamikaze, o nelle discutibili missioni di assassinii premeditati perpetrati per una più giusta causa. Oppure ritrovare anche solo un monito nell’utilizzo di una deflagrante potenza distruttrice come quella della fusione atomica. In questa rappresentazione veritiera di un ambito fantastico si iscrive anche la battaglia sugli atolli paradisiaci dell’insediamento imperiale, che rimanda al filone bellico americano di ambientazione vietnamita, passando per La sottile linea rossa, e per un biasimo della guerra in senso lato.

Cronologicamente posto a ridosso degli eventi del primo film (ovvero del IV capitolo, di cui è, quindi, tecnicamente un prequel), Rogue One fa da cerniera tra le due trilogie iniziali riallacciandosi al finale del III volume (con la caduta della Repubblica e la trasformazione fisica di Annakin sul pianeta di lava) e fornendo le premesse dell’esordio della successiva. Perfettamente integrato nella continuity della saga stellare, il film si propone pertanto come anello di congiunzione tra passato e presente sia stilistico che narrativo quaanto temporale, ripercorrendo una struttura di racconto classica declinata in modo nuovo e quasi naturalistico (anche per la pervasività mimetica degli effetti speciali), rinunciando a qualsiasi variante fumettistica di eventi o figure. In questo senso, pur rientrando a pieno titolo come elemento coordinato dell’ambito del racconto già fatto, Rogue One opera uno scardinamento, coerente e moderno, delle prospettive, grafiche quanto narrative, delle pellicole note, offrendo una declinazione disperatamente drammatica di personaggi senza futuro in un contesto permeato da rimandi ad un tempo, anteriore o posteriore, storicizzato dalle altre e già note cronache della galassia.

Se la componente familiare rimane il fulcro delle motivazioni dell’eroina, la ricerca del padre si fa immersione nella scelta del genitore dell’ambiguità di un collaborazionismo colpevole, che si giustifica come difesa degli affetti rimasti, pur nel lavorio segreto delle colpe e del tradimento degli ideali, che sfocia nel tentativo disperato di inoculare un vaccino mortale alla propria opera maligna per salvaguardare il senso di un sacrificio personale, morale quanto fisico. Ed è, in effetti, un film sulla scelta che definisce il senso di un’esistenza, sull’opzione da prendere per raggiungere uno scopo, maggiore o migliore di se, sul sacrificio come unica e ultima possibilità di redenzione. Non c’è allegria in Rogue One, ma una visione disincantata (sebbene marginale) dell’impianto drammaturgico di Star Wars.

Nell’elegia antiretorica dell’eroe solitario e martire, il film spazia con disinvoltura tra la riesumazione di attori trapassati, personaggi recuperati, figure reiterate e allusioni necessarie, ricavandosi comunque uno spazio di novità e di intransigenza autoriale del tutto innovativo.

benché le scene di battaglia iniziali del VII capitolo (debitrici di un irrisolto antefatto nell’introduzione dei personaggi dei ribelli) avessero già un vigore realistico fino a quel momento inedito, e un certo sviluppo drammatico venisse poi confermato dal sacrificio di uno dei personaggi più carismatici della serie, nemmeno Abrams aveva osato spingersi oltre iniziando la terza trilogia, nella sua volontà di omaggiare il passato e di attenersi al canone perseguendone la continuità. Ma, in fondo, tutte le storie di Guerre Stellari sono racconti di un’ossessione: per il potere, per l’amore stesso, per la famiglia, per la libertà, per il passato, per una narrazione antecedente, per una visione coerente di un universo espanso in cui è facile naufragare; in questo mare di scogli la zattera di Rogue One si barcamena la con semplice veemenza e amarezza di un bel film che si cerca e trova un’identità.

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