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Rogue One: A Star Wars Story

Regia di Gareth Edwards vedi scheda film

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La recensione su Rogue One: A Star Wars Story

di M Valdemar
8 stelle

 

locandina

Rogue One: A Star Wars Story (2016): locandina

 


Il gruppo spalla che ruba la scena all'headliner.
Rogue One si proietta, così, di forza, nell'empireo starwarsiano catturandone anima e natura, iconicità e materia, (av)volgendole a sé, costituendo un microcosmo compiuto e complesso, dotato di luce propria, che può guardare dunque con successo al modello originale (inarrivabile, ma non è questo il punto).
Laddove, al contrario, falliva il pompatissimo episodio VII, maestoso iper-professionale tsunami cinemediatico che, pur trovandosi nel mare aperto di mille possibilità e direzioni, scatenava unicamente pura potenza nostalgica (orsù, un remake del IV, suvvia): andrà meglio, forse, nel prosieguo. Vedremo.
Probabilmente, infatti, l'opera diretta dal Gareth Edwards dell'apprezzato Monsters e del sottovalutato Godzilla (tra i pochi riusciti blockbuster degli ultimi anni, decenni), ha tratto grande beneficio dalla sua curiosa, ibrida (e felice) dimensione: essere cioè un film autoconclusivo. Un corpo destinato a svelarsi e disfacersi nello spazio di una (sola) visione, un colpo sparato senza possibilità di replica, una missione suicida, un epilogo annunciato.
Non solo: con l'imperativo categorico di non poter sconfinare da invalicabili codici, riferimenti, eventi, la storia era già per sommi capi nota, tramandata, assimilata. La sostanza narrativa è, banalmente, un allargamento di fatti (pur essenziali) riferiti in precedenza. La vicenda detta, conosciuta e di cui si conoscevano inizi, contorni e fine, data per scontato, un aneddoto passato di bocca in bocca.
Da testo ridotto a (trasformazione in) verità storica e documentata.
Una bella sfida.
Vinta. Proprio a cominciare dallo script Rogue One edifica la sua innegabile (p)resa, le fondamenta e i fondamentali di una rappresentazione coinvolgente tanto più quanto si approssima al finale già scritto). Senza strafare, o cercare vane nonché dannose divagazioni teoriche - d'altronde è pur sempre un blockbuster, oggetto per le masse - gli autori (Chris Weitz e Tony Gilroy) intessono una sceneggiatura solida, inappuntabile, priva delle sbavature e scorciatoie che affossavano The Force Awakens, che negli elementi del Mito ideato da George Lucas instillano la Forza di chi è relagato a margine, dei sacrificabili, dei "piccoli" (accadimenti, personaggi, casi).
Soprattutto, la sceneggiatura ben caratterizza la figura femminile: in tempi di eroine (e di young adult: il Male, probabilmente) predestinate, a cui le cose "speciali" sembrano capitare noiosamente addosso, Jyn Erso convince per definizione, configurazione personale ed evoluzione. Fino alla (definitiva, bellissima) fine.

Felicity Jones, Diego Luna, Alan Tudyk

Rogue One: A Star Wars Story (2016): Felicity Jones, Diego Luna, Alan Tudyk

Donnie Yen, Jiang Wen

Rogue One: A Star Wars Story (2016): Donnie Yen, Jiang Wen


Migliore ancora il puntualissimo, rigoroso lavoro di raccordo e rielaborazione con la Storia principale e di conseguenza con i capitoli di entrambe le trilogie; tale che occorrerà rivederlo almeno un'altra volta per coglierne dettagli e risvolti, con goduria tutta da stimare (materia ultragolosa per cultori, nerd e non solo). Aspetti ripresi, vuoti colmati, robusti innesti funzionali: a conti fatti, più che un mero spin-off, Rogue One è uno sguardo a lato, uno spostamento di prospettiva, uno svelamento necessario.
C'era già; e noi lo scopriamo soltanto ora.
Su tale stato di cose, Gareth Edwards affronta nel migliore dei mo(n)di l'incandescenete materiale: nell'universo giososo-mistico-mitologico di Star Wars c'è spazio per una storia minore, intrisa di inevitabile cupezza e dalle venature riottose e malinconiche, politiche.
L'essenza dei ribelli, della ribellione (frange estremiste comprese ...). Di come un epiteto affettuoso («stellina») dato dal padre costruttore di Morte (Nera) suo malgrado - e per scelta: il sacrificio massimo - si trasformi in virus buono per infettare l'Arma di distruzione di massa per definizione.

Incipit a parte, fatica comprensibilmente nella primissima parte, Rogue One; passata la dovuta fase di presentazione, decolla: impeccabile per costruzione scenica e scenografica, gestione della tensione e dell'azione (ecco, magari Edwards avrebbe potuto osare di più nelle sequenze degli scontri a terra), per il montaggio eccellente e la calzante colonna sonora firmata Michael Giacchino ma intrinsecamente johnwilliamsiana; per la rappresentazione, infine - adulta, credibile, efficace -, del dramma.
Precisa e incisiva inoltre la direzione degli attori. Che sono tutti ottimi: a dispetto delle perplessità iniziali, Felicity Jones convince senza indugio alcuno (dopotutto, è una che sa recitare), e gli altri stanno nel gioco in maniera compatta, con le punte di diamante Donnie Yen, Mads Mikkelsen e Forest Whitaker ad impreziosire la scena (ecco, giusto la questione del Peter Cushing "resuscitato" in motion capture merita riflessioni e approfondimenti: comunque, era proprio necessario??).

scena

Rogue One: A Star Wars Story (2016): scena

scena

Rogue One: A Star Wars Story (2016): scena

scena

Rogue One: A Star Wars Story (2016): scena


Inesorabile, esaltante il crescendo narrativo, emotivo, visivo, epico: dalla sortita suicida del manipolo di ribelli per la causa nell'impenetrabile roccaforte di Scarif spostare anche solo per un secondo sguardo e attenzione non è possibile.
L'apparizione, gestita benissimo, di Darth Vader - il male che incombe, strisciante, ammantato di oscurità e minacciosità - fulmina; la riuscita del piano, con gli esiti e le facce che ben conosciamo, manda in sollucchero.
Eppure non c'è immagine (e fine) migliore, più emozionante, di quell'abbraccio illuminato dalla famelica luce distruttrice.


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