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War Machine

Regia di David Michôd vedi scheda film

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La recensione su War Machine

di supadany
5 stelle

Oltre a raccontarle in tutto il loro dramma fisico e morale, il cinema si è spesso cimentato sulle tematiche belliche per metterle alla berlina. Ora, come per tanti argomenti ben più leggeri, anche le guerre moderne hanno cambiato pelle e si prestano maggiormente a essere prese di mira, per errori di valutazione, superficialità e interessi doppiogiochisti (o dettati da fattori esterni), così che un film come War machine arriva nel momento giusto (che poi, purtroppo lo è sempre), senza però riuscire minimamente a rientrare tra quelle pagine da conservare con cura.

Prima di tutto, emerge una poco piacevole sensazione di confusione, con tanto fumo e risultati tangibili assai contenuti.

Assegnato a un nuovo incarico in Afghanistan, il generale Glen McMahon (Brad Pitt) capisce ben presto di essere finito in un ginepraio, che non prevede soluzioni definitive al conflitto. Ciò nonostante, noncurante di un qualsiasi consiglio e impermeabile alle richieste provenienti dall’alto, cambia completamente la strategia d’azione, richiedendo risorse ingenti per portare a compimento il suo piano.

A parte i suoi stretti collaboratori, sembra un uomo solo contro tutti e appeso a un filo, che potrebbe spezzarsi al primo insuccesso, decretando la fine del suo incarico e un brusco stop alla sua carriera.

 

Brad Pitt

War Machine (2017): Brad Pitt

 

Per la terza volta nel giro di pochi anni, Brad Pitt, anche coproduttore, torna protagonista di un film bellico, rimanendo per risultati - personali come interprete e di qualità complessiva dell’opera - lontano dai precedenti Bastardi senza gloria e Fury.

Partendo da The operators di Michael Hastings per il soggetto, sceneggiato e diretto da un David Michod in fase calante - molto apprezzato Animal Kingdom, al massimo interessante The rover -, War machine modula più volte l’intonazione senza trovare una doverosa continuità.

Fortemente instabile, parte seguendo un passo da commedia urticante, pur vacillando in fatto di acume, riuscendo in ogni caso a testimoniare un caos inestricabile, tra uomini d’azione e burocrati, conservando giusto la coerenza di un messaggio ancorato nell’attualità. D’altronde, se i temi seri fossero affrontati con scrupolo e programmazione su lunga scadenza, non saremmo impaludati, per giunta su più fronti, così come invece siamo adesso.

È tutta una questione d’interessi, di facciata, con il mondo che osserva da fuori, o semplicemente personali e ridicoli, come la parodica figura del presidente Karzai enuncia nel momento in cui il suo massimo impegno è profuso nel tentativo di collegare un lettore bluray e le risate di fronte a Scemo e + scemo non sono altro che l’unico e possibile passo successivo.

Quest’angolazione, giusta nelle intenzioni ma poco prolifera, deve fare i conti con una persistente voce over e ricognizioni sul campo che somigliano a un documentario per niente levigato, per poi approdare al (disastro sul) campo d’azione, con le intenzioni destinate a collassare contro un muro eretto dalla realtà dei fatti, con alcuni fotogrammi più chiari di milioni di parole (come lo sguardo di un bambino che sembra giurare odio eterno verso coloro che, per errore, hanno decimato la sua famiglia) e un finale tracotante e pericolante, ai limiti dell’indigeribilità, che ha il sapore della sentenza (umanamente e artisticamente).

In aggiunta, la centralità parossistica della figura del protagonista, e quindi di Brad Pitt, tra tic, abitudini e una recitazione impostata, spossa già dopo pochi minuti, dando vita a una caricatura snervante, mentre il resto del ricco cast è relegato ai margini, con Tilda Swinton presente in una sola scena e Ben Kingsley in versione abusiva nei panni di Karzai, come già lo era stato, sebbene in altri termini, con il suo Mandarino in Iron man 3.

Alla fine, di War machine si possono ricordare l’evidenziazione delle assurdità delle guerre moderne e di tutto ciò che è situato a monte, il coraggio di smitizzare la figura di Obama (ma intanto, siamo passati oltre) e l’auspicabile volontà di fare le cose per bene con il rischio di rimanere isolati per coloro che prendono sul serio i propri incarichi, giusti o sbagliati che siano, ma come film non ingrana mai una marcia convinta, subendo troppe sollecitazioni, senza eccellere in alcuna, perdendo cocci a ogni virata.

Fragile negli automatismi, altalenante nello svolgimento, con qualche chiaro di luna ma anche tratti fastidiosi.

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