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Animali notturni

Regia di Tom Ford vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Animali notturni

di Lehava
4 stelle

I titoli di testa si aprono sui corpi grotteschi, informi, scioccanti di signore più o meno giovani, nude, che danzano abbigliate da majorettes stelle e strisce su improbabili palcoscenici-altari irradiati da una luce quasi metallica. Sequenza lunga e disturbante che ci introduce nella narrazione svelandoci che ciò a cui stiamo assistendo è una mostra d'arte contemporanea. Allestita dalla gallerista Susan. Morrow. La nostra protagonista, che ha il volto ed il corpo, non del tutto filiforme e già segnato dal tempo, di una Amy Adams tirata perennemente a lucido in abito strabilianti, trucco pesante, capelli mai fuori posto. Sono incuriosita: Tom Ford lo stilista, alto magro e belloccio, talento indiscusso della moda, miracoloso salvatore del marchio Gucci, propugnatore (come quasi tutti i suoi colleghi) di una perfezione estetica corporea che non solo assume per indossare le proprie creazioni in passerella, ma che anche impone a sé stesso (sempre così caruccio in quegli abiti bianchi e neri, mai un po' di pancetta o un peletto sulla giacca), mi vuole propinare una predicozza sulla bellezza della deformità? Sull'artificio e la sincerità? Oppure una critica feroce sulla insensatezza di una vita fatta di apparenza (le signore cicciottelle paiono divertirsi molto di più della stordita Susan che si aggira per le sale come se avesse avuto una paresi facciale, terrorizzata dall'idea di compromettere l'acconciatura ed impossibilitata pertanto a compiere qualsiasi movimento naturale della testa)? Sono pronta affinchè il coltello sia affondato: mi guardo attorno e l'aspetto della cinearena all'aperto mi conforta. Siccome sono una fifona, cerco rassicurazioni nelle luci provenienti dai bagni e guardandomi i piedi: come ho potuto pensare di venire da sola a gustarmi un thriller? Già tremo! Vabbeh, cerco di stare tranquilla ed attendo la coltellata (non dietro la tendina della doccia). Ed invece no: quello che arriva è un colpetto maldestro fatto di fotogrammi aerei di grige highways americane. "Che c'entrano?" Mi chiedo. Non otterrò risposta. In realtà tutte le mie speranze, o paure, per il predicozzo sopra-citato finiscono subito: le riflessioni sulla civiltà dell'apparenza non ci sono, in questo lungometraggio. Susan è una ragazza dell'alta borghesia che si infatua di un giovane aspirante scrittore, sognatore ma inconcludente. Forse Edward è solo il capriccio un una figlia viziata alla ricerca della sua personale purezza e rivalsa verso una madre cinica. Quando la giovane incontra Hutton capisce di aver commesso un errore: chiede il divorzio, interrompe una gravidanza, si ri-sposa con l'aitante nuova fiamma. Che si rivelerà, nel tempo, un collaboratore accettabile ma un marito fedifrago, che Susan, in fondo ancora innamorata dopo vent'anni, cerca di accettare, giustificare, riconquistare. Sullo sfondo, una vita di lusso. Dove l'affondo sulla gretta mentalità borghese che è disposta a tutto pur di salvare le "apparenze", che vive del respiro del solo denaro, che annulla le emozioni a fronte di un buon conto in banca, che respinge l'imperfezione e fa di tutto pur di insabbiare il fallimento? Non ve n'è traccia: Susan appare più che insoddisfatta, infelice e delusa. Perchè le sue speranze di donna si sono arenate contro un uomo tanto affascinante quanto arido: se l'avesse sposato per "interesse", per il mantenimento di uno status sociale ed economico, non sentirebbe il cuore caderle sui piedi quando scopre il tradimento. Un conto è il sospetto, un'altro la certezza. E dire che ci aveva creduto, lei, in quel rapporto. Prendendosi in carico anche il senso di colpa della fine del rapporto precedente: nella piena maturità, sospetta che il gioco non valesse la candela. Ma la sua realtà è stringente e non lascia spazio alla ben che minima finzione: la bancarotta è vicina, e Susan lo esplicita senza paura. Il suo matrimonio è finito: non serve nascondersi dietro un dito. Lo spettatore guarda inerme questa protagonista solitaria ed univoca: dovrebbe trarne un qualche sentimento: immedesimazione, identificazione, adesione emotiva oppure no! repulsione. Continuo ad osservare le immagini ma non riesco proprio a sentir nascere dentro di me un qualche sentimento: quello che pensa e prova Susan, sinceramente, mi è del tutto indifferente. Anche l'indifferenza è una sensazione? Mmmm, direi di no. E' una non-sensazione. Brutta cosa se un'opera che dovrebbe essere artistica ti rende apatico alla stessa: rimpiango la repulsione iniziale davanti alle majorettes sovrappeso. Che poi, mi sarebbe piaciuta una elaborazione organica ed originale sul valore dell'arte nella vita (reale e cinematografica): alla Greenway insomma, ma in chiave fordiana, ovvio! Visto che l'eroina di "Animali notturni" è una che vive nell'arte e con l'arte, l'incipit piantava tutte le premesse nella testa degli spettatori: aspetto i germogli. Ma non appaiono. Anche questo vicolo è cieco. Ogni illusione a riguardo, si scioglie nella banale ed inutile scena di Susan davanti ad un quadro (orrendo) con la scritta "Revenge". Tornando indietro, però, nella vacuità più disarmante era pur sempre accaduto un fatto, sul grande schermo: l'arrivo di un pacchetto postale contenente un libro che Edward dice, in poche righe di presentazione, di aver sentito di scrivere ispirato dal ricordo della ex moglie. Che la riflessione sull'arte sia più complessa? Solo mutuata dalla sfera visiva (siamo pur sempre davanti ad un film) per affondare invece nel ricco terreno della scrittura, del suo valore evocativo perturbante catarchico, nella sua capacità di commistione fra realtà e finzione fino a divenire la seconda costitutiva della prima, in un cultura occidentale della parola radicata nelle genie stesse del nostro essere umani pensanti e scriventi? Ahimé, più scorrono i minuti più mi rendo conto che anche questo vicoletto non mi porterà alla cima della cittadella, lasciandomi invece sperduta in un meandro di accostamenti infantili, scontati espliciti ed autoreferenziali. Perchè, in un week-end solitario la donna legge il romanzo, ritornando al passato, riflettendo sul suo presente. Nulla ci è dato sapere dello stile come se il testo fosse fatto solo di contenuto e la forma un accessorio del tutto superfluo (Che strano ce lo dica il raffinatissimo Tom Ford che della forma ha fatto la sua fortuna e che ha teorizzato con la sua attività come a volte la forma possa essere il vero contenuto dell'opera). Di sicuro sappiamo che il contenuto, appunto, è dozzinale: un thriller senza nessun brivido, un romanzo criminale dove il crimine è telecomandato dalla prima scena (anche se non ancora commesso) ed il colpevole conosciuto all'istante. Sono sollevata: sto' seduta davanti al maxischermo da sola, devo guidare verso casa nella notte per rientrare. Avevo una gran paura di aver paura ed invece nulla: tutto passa liscio ed inutile. Un guizzo lo sprecato M. Shannon (l'investigatore texano più stereotipato del mondo che proporrà la vendetta privata visto che malato terminale. Messa giù così fa quasi ridere!), e l'incredibile bravura di J. Gyllenhal che rende credibile un personaggio maschile fumoso e mal definito. Metafore, similitudini, ossimori fra la realtà della vita di Susan e la finzione delle pagine del libro sono così rozze e convenzionali da insultare l'intelligenza dello spettatore medio. Potrei aggiungere a questa recensione, in tono con l'opera di Ford, ovvietà popolari e/o letterarie come: "la vendetta è un piatto che va servito freddo" oppure "chi è causa del suo mal pianga se stesso". Il finale del film, impagabilmente prevedibile. Ho rinunciato pure ad una festa in spiaggia per venirmi a vedere questo "Animali notturni"! Che idiota. Almeno posso stare serena: niente incubi. Il senso sottile di minaccia ed oppressione avuta nei primi minuti sfaldato dalla convenzionalità della narrazione. E dalla vacuità del senso. Tecnicamente dimenticabile: il montaggio di Joan Sobel a mio avviso terribile (alternanze ed accostamenti solo un po' più raffinati di un filmino di matrimonio). Regia compiaciuta (la ricerca esasperante della inquadratura migliore) ma insufficiente. Meglio la fotografia. Discreto il commento musicale (ma poco graffiante). Belle le scenografie. La sceneggiatura un lavoretto semplice semplice al limite estremo del saputello (tutto è esplicito e facile come se un professore geniale spiegasse raccontasse una storia ad uno studentello tardo scandendo bene le parole perchè il poveretto possa capire: "C'era una volta una signora triste che, in un momento di crisi, riceve in dono un bel libro e lo legge. ......."): cinema, letteratura, pittura, arte contemporanea, architettura, moda (trucco e parrucco ensemble): tutto nel frullatore, e ne viene fuori un pasticcio insapore. Bravi gli attori principali ma ...basta?

Molto Lynch, un pizzico di Hitchcock, persino una spremuta del peggior Tarantino (nell'investigatore vendicatore) una spruzzata di Sorrentino (nel grottesco) e c'è chi c'ha visto pure De Palma (apparizioni come la madonna di Lourdes: accertate). Fossi in tutti loro, non se sarei granché lusingato. Il risultato è la mia delusione cinematografica più grossa in questo 2017. Per ora, almeno. Dicono che al peggio non ci sia mai fine.

Quel che è peggio, premi prestigiosi in Italia (ma scarsi negli Stati Uniti: che siano più svegli di noi questi americani? Sono gli stessi che hanno votato Trumpo?) e critica professionista italiana (non avevo voglia di guardarmi l'estera. Perdonatemi) in brodo di giuggiole. Ma sarà proprio così vero? Meneghetti lo valutò positivamente (anche senza esserne rapito) a Venezia, accusandolo comunque di essere troppo "raffinato" nella messa in scena e caricandolo di osservazioni personali sociologiche e politiche relative alla società americana (a mio avviso forzate). Ma Paolo d'Agostini ("La Repubblica"), Fabio Ferzetti ("Il messaggero)", Silvio Danese (varie testate) lo stroncarono. Solo un filino più possibilisti Maurizio Acerbi ("Il giornale") ed Emiliano Morreale ("La repubblica"). Qui in film.tv. grande accoglienza: forse per questo, per me, solo un accumulo di apatia e contrarietà

 

 

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