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La scoperta

Regia di Charlie McDowell vedi scheda film

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La recensione su La scoperta

di maurizio73
4 stelle

Dramma fantascientifico a basso budget e ad alto tasso soporifero, in grado di cotaminare con rara insipienza gli spauracchi settaristi del cinema Indie Made in Usa (Sound of My Voice, The East) quanto lo sci-fi filosofico-esistenzialista in terra d'Albione (Never Let Me Go, Womb). La scoperta, sì dell'acqua calda!

A due anni dalla scoperta di uno stato di esistenza fisica al di là della morte e dopo la pandemia di suicidi che ha scatenato in tutto il mondo, il dottor Thomas Harbor si ritira in una sperduta isoletta del Rhode Island per continuare i suoi esperimenti, lontano dal clamore mediatico e circondato da una ristretta cerchia di fidati adepti.
La visita inaspettata del figlio maggiore, neurologo con cui aveva iniziato il suo lavoro, e di una giovane ragazza che quest'ultimo ha salvato dal suicidio, sarà foriera dei misteriosi eventi che chiuderanno definitivamente le tragiche vicende del passato e getteranno una nuova luce sulle imponderabili prospettive del futuro.

 

locandina

La scoperta (2017): locandina

 

Al Sundance, si sa, piacciono i soggetti strani: tanto nel senso delle discutibili suggestioni cinematografiche che incoraggia quanto in quello dei misconosciuti promotori che se ne fanno carico. E' questo il caso del figlio d'arte Charlie McDowell (il nome quello è) che ingaggia un tridente di buone potenzialità (Robert Redford, Jason Segel, Rooney Mara) per un dramma fantascientifico a basso budget e ad alto tasso soporifero, in grado di cotaminare con rara insipienza gli spauracchi settaristi del cinema Indie Made in Usa (Sound of My Voice, The East) quanto lo sci-fi filosofico-esistenzialista in terra d'Albione (Never Let Me Go, Womb). Se le premesse di questo cinema antispettacolare ed intimista però, iniziano sotto i pessimi auspici di uno scenario apocalittico che rasenta il ridicolo (gente che si suicida perchè sa che dopo la morte c'è qualcosa, ma non sa esattamente che cosa) con tanto di contatori di cari estinti in tempo reale e campagne di incoraggiamento a non fare gesti insani, il film sviluppa la sua balorda e confusa teoria animista, rinchidendosi tra le quattro mura di un castello del Rhode Island ed incartandosi parecchio tra lo psicodramma familiare di un guro dell'aldilà dai capelli tinti ed una detection pseudoscientifica a base di registrazioni sinaptiche dell'alterità e tablet di ultima generazione. Insomma tra un immaginario alla Brainstorm, le morbose ossessioni psico-visive di Antiviral e le ricadute familistiche di un novello Dottor Frankenstein è un film che non si sa bene quale strada voglia prendere o quali insegnamenti dare, salvo deviare verso un finale alla Love Story in cui gli amanti sono separati dalla morte per ritrovarsi nella vita. Questa commistione di registri e di vicende strampalate non gli giova, come non gli giova la banalità di dialoghi che nel migliore dei casi vorrebbero sviluppare la strana empatia che lega personaggi tormentati, tratteggiati però con troppa sufficienza, che sembrano agire in preda a strani furori demiurgici (Redford), a sindromi bipolari di giovani madri negligenti (Mara) od alle pressanti responsabilità di un figliol prodigo che sa di dover mediare tra un padre pazzo ed un fratello scemo (Segel). Narrativamente incongruo e con più di uno spunto che cade nel vuoto (la madre morta suicida, a causa dello stesso uomo ma per ragioni diverse dalle altre 4 milioni di persone, sic!), cerca di riscattarsi attraverso gli accorgimenti di una messa in scena che ricerca le plumebee ambientazioni insulari del New England ed il malinconico commento musicale che chiama in correità il terzetto Haydn-Bach-Mozart, laddove affida la soluzione di un dilemma trascendentale alla circolarità di una dimensione temporale senza fine entro cui sono immerse le infinite ramificazioni parallele dell'esistenza: una suggestiva teoria sulla immanenza della coscienza (non locale, atemporale, immateriale) che richiama alla mente le fantasiose teorie NDE (e non è un film!) del cardiologo olandese Pim van Lommel. Roba da far girare la testa e che vorrebbe in realtà far sussultare il cuore, per un finale di amori mancati e di vite ritrovate di cui ci resta solo l'assillante perplessità di uno struggente dejavù.
Produzione indipendente della Endgame Entertainmen&Co e distribuzione domestica di Netflix: un cinema che sopravvive a sè stesso oltre la dimensione anacronistica della sala cinematografica? La scoperta, sì dell'acqua calda!

 

 

On s'est connus, on s'est reconnus,
On s'est perdus de vue, on s'est r'perdus de vue,
On s'est retrouvés, on s'est séparés,
Puis on s'est réchauffés

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