Regia di Tate Taylor vedi scheda film
Gli occhioni languidi di una Emily Blunt imbruttita a dovere per la parte riempiono lo schermo in un thriller di eccellenti atmosfere ma dalle non altrettanto brillanti soluzioni dell'intreccio narrativo.
Tratto dall'omonimo romanzo della giovane scrittrice inglese Paula Hawkins, straordinario successo di vendite del 2015, “La ragazza del treno” è un thriller che se da un lato eccelle nella creazione di atmosfere inquietanti all'interno di una realtà apparentemente rassicurante quale quella delle villette unifamiliari della Middle-Class suburbana d'America, dall'altro delude le aspettative degli amanti del genere thriller. Me incluso. La causa principale di tale delusione è il modo in cui la sceneggiatura (firmata da Erin Clessida Wilson) risolve l'intreccio narrativo, punto questo non da poco nel genere cinematografico sopracitato, con una verità che ti viene letteralmente rovesciata addosso (dal nulla) nel finale quasi come fossimo al cospetto di un antico giallo di Agatha Christie. Solo che, mentre nei romanzi della Christie tale chiusure risultano perfettamente armoniche, qui stridono parecchio con quello che si era costruito fino a quel momento. La struttura a flashbacks inoltre non aiuta, nel senso che finisce con il limitare la piena godibilità del racconto senza comunque offrire allo spettatore una possibile e soddisfacente chiave di volta per la lettura/interpretazione della vicenda narrata. Restano in ogni caso gli occhioni languidi di una immensa Emily Blunt imbruttita a dovere per la parte a riempire lo schermo in un film che sarebbe altrimenti decisamente insufficiente.
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