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Frantz

Regia di François Ozon vedi scheda film

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La recensione su Frantz

di EightAndHalf
8 stelle

Il rimbalzo delle consapevolezze.

 

Broken Lullaby è uno dei film più sconosciuti di Ernst Lubitsch.

1934, in un primo dopoguerra già maturo il regista tedesco, ormai in America, gira uno dei drammi per eccellenza sulle vittime fisiche e morali della Grande Guerra, tanto più bello quanto più riusciva ad abolire quei conflitti aprioristici e fuori tempo massimo fra tedeschi e francesi, maturati come se la gente comune avesse avuto a che fare col volere di potenze internazionali dagli interessi ben differenti da quelli del singolo abitante del singolo paesino (francese o tedesco che fosse). La Grande Guerra delle piccole persone.

Nel 2016, Ozon prende in mano l'idea di base di Lubitsch, e ne fa un remake dal sapore classico, eppure pop; tradizionale - all'apparenza - eppure pregno di rimandi, citazioni, riflessi, che elevano la portata teorica del film a livelli ben distanti dalla contingenza della trama. 

 

Adrien Rivoire, reduce francese dalla Grande Guerra, si ritrova nel paesino di un soldato tedesco, Frantz, che - per quel che dice Adrien ai genitori di Frantz stesso - era suo amico a Parigi, ma è morto in trincea. La promessa sposa di Frantz, Anna, costretta ad una vedovanza anticipata (lei e Frantz non si erano ancora sposati, volevano aspettare la fine della guerra), si scopre innamorata di Adrien, e i genitori di Frantz rivedono in Adrien sempre più il volto del loro figlio scomparso. Però Adrien ha un segreto importante, che potrebbe rovinare gli equilibri venutisi a creare. 

 

Pierre Niney, Paula Beer

Frantz (2016): Pierre Niney, Paula Beer

 

Il nuovo film di François Ozon è una pellicola insidiosa, nella misura in cui si fa testo complesso e costantemente autoriflettente. Il confronto con Broken Lullaby è in parte necessario per sottoporre Frantz a una lettura più formale dei suoi significanti, una lettura che ne intraveda, almeno, l'infinito sistema di segni. La prima differenza sostanziale da Broken Lullaby è la durata: il film di Lubitsch dura sì e no 80 minuti, Frantz raggiunge le quasi due ore. Un secondo aspetto fondamentale sta proprio in ciò che più superficialmente sbalza su dalla superficie: la trama. Praticamente identica all'opera di Lubitsch fino a metà film (giusto con qualche sequenza filler che aiuta anche a disporre i personaggi su una scacchiera più complessa di quella di Broken Lullaby), poi del tutto differente, benché analoga in alcune delle soluzioni finali originali. Terzo e non ultimo fattore è certamente l'utilizzo dei formati (cosa che comunque a Lubitsch, visti gli anni, sarebbe stata impossibile da realizzare). Ozon infila tra le vicende narrative in b/n alcune sequenze a colori, non con scatti improvvisi, ma con lente dissolvenze e viraggi graduali che trasportano direttamente in altre dimensioni, in altri limbi; non semplicemente quelli della fantasia, ma se vogliamo quelli della rielaborazione mentale, quelli che meno sarebbero ascrivibili a "parti di trama", ma più a "proiezioni mentali dei personaggi". L'attività pensante dei protagonisti modifica la struttura del film continuamente, e per forza di cose coinvolge anche noi in questo gioco del rimbalzo della consapevolezza.

 

Pierre Niney, Paula Beer, Marie Gruber, Ernst Stötzner

Frantz (2016): Pierre Niney, Paula Beer, Marie Gruber, Ernst Stötzner

 

Tra gli ultimi film di Ozon, che pure associavano a trame fortemente lineari fil rouge riflessivi a posteriori, Frantz è forse il più teorico. Linearissimo anche lui, forse più lineare di Giovane e bella e de La nuova amica, ma sempre diffratto in un prisma opalescente: un film, sulla carta, fragile come porcellana. Nei fatti però la pellicola prende una piega insospettabile, mai ammiccante - lo sarebbe stato se avesse preso in esame film ben più noti di Lubitsch -, sempre urgente nel suo linguaggio quasi minimalista. Il comparto visivo lo si potrebbe definire essenziale, fatto di carrelli in avanti sui volti dei personaggi, dolly fluidi, close-up efficaci mai esagitati e, in generale, dotato di una sobrietà espressiva che appare dopotutto credibile. Però questo è, appunto, un quadro della superficie del film. La teoria dietro Frantz, legata a doppio nodo all'ispirazione lubitschiana, sta nel suo linguaggio, in conclusioni leggibili negli stessi ingranaggi della trama. Un orologio (franco-)svizzero. E questo sistema si rivela soprattutto nella seconda metà della pellicola.

 

Pierre Niney, Paula Beer

Frantz (2016): Pierre Niney, Paula Beer

 

Non appena Anna parte per ritrovare Adrien in Francia, ha inizio una vera e propria indagine, che scruta nei luoghi che circondano la protagonista affinché questa raggiunga il suo obbiettivo. Questi collegamenti sono casuali fino a un certo punto, e raccontati a voce apparirebbero inverosimili: si rifanno alle storie menzognere intessute da Adrien nella prima metà del film, e soprattutto alla straordinaria tensione dell'Arte, vibrante come le tese corde di un violino. Il film ha quasi dello sperimentale, se riflettiamo sul fatto che i personaggi comunicano fra loro, si perdono e si ritrovano, attraverso la pittura, la musica, il Cinema stesso (se passiamo al livello di noi spettatori, che perdiamo e riscopriamo i personaggi e i loro ruoli): in sintesi, attraverso la più nobile menzogna, quella del mondo alternativo che l'Arte crea, riproduce, esalta. Questa natura semica di complessa fattura è ulteriormente convalidata da numerosi altri indizi: il binocolo utilizzato da Anna per cercare Adrien all'Opéra, che richiama alla necessità del guardare; i nomi (non appena Anna vede A. Rivoire nel registro ospedaliero dei decessi pensa si tratti di Adrien, ma leggendo bene in francese è evidente l'assonanza con un ammiccante aurevoir); il quadro Le suicide di Manet, che la spinge a cercare fra i registri di morti sopra citati... Ozon riesce a rendere questi passaggi narrativi splendidamente fluidi, tradendo quasi mai la natura teorica e ideale del suo film. Il meccanismo funziona a pennello anche volendo vedere nel treno che lentamente si allontana da Anna, che cammina verso di noi (con corrispettivo dolly all'indietro), un chiaro simbolo di un utilizzo "umoristico" e "capovolto" del Cinema stesso, un'anticitazione di Arrivo del treno dei Lumière.

 

Paula Beer, Pierre Niney

Frantz (2016): Paula Beer, Pierre Niney

 

Frantz di François Ozon parla appunto di menzogna, di dissimulazione. L'indagine di Anna a più di metà film, costituita da colpi di scena continui che la portano ad Adrien, è in realtà l'indagine del film tutto. Le dinamiche dei personaggi perdono il carattere sanamente edificante del film di Lubitsch - che consolatorio e "comodo" non era comunque per niente - e assumono connotati metariflessivi: nel raccontarsi menzogne a vicenda, menzogne sempre a fin di bene come lo sono quelle della finzione artistica, i personaggi finiscono per diventare i poli di un gioco di rimbalzi di coscienza, in cui la consapevolezza passa costantemente da un livello a un altro, come avviene in un giallo a scatole cinesi. Frantz di Ozon narra della stessa cosa di Broken Lullaby, ma il nodo centrale del film in Lubitsch non è uno spoiler; lo è, invece, in Ozon. Anzi, in Lubitsch era rivelato nell'incipit; in Ozon è rivelato a metà pellicola. Perché Ozon ci inserisce direttamente nel gioco di consapevolezze. Il film si configura, tutto, come una ricerca, che scavi nei dintorni del grande tema della menzogna, usando l'arte come strumento e intermediario.

 

Pierre Niney, Anton von Lucke

Frantz (2016): Pierre Niney, Anton von Lucke

 

I temi di Ozon comunque non mancano: nel film non c'è erotismo mostrato, ma sempre evocato, invisibile, tra i personaggi, come nel miglior Rohmer. Si stabilisce un ménage a trois fra due vivi e un morto, che ricorda quello del morente Melvil Poupad con i suoi comprimari ne Le temps qui reste; c'è l'indagine sui rapporti umani, che è evidente interesse di Ozon dai tempi delle emulazioni fassbinderiane (il suo capolavoro, Gocce d'acqua su pietre roventi); c'è la riflessione teorica, e quanto detto sopra è sufficiente per capirlo. 

Frantz va dunque visto con attenzione. La narrazione non è qui solo narrazione, ma è anche uno specchio riflettente migliaia di luci. 

In concorso a Venezia 73.

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