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Il sogno di Francesco

Regia di Renaud Fely, Arnaud Louvet vedi scheda film

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La recensione su Il sogno di Francesco

di nickoftime
5 stelle

Più che un biopic sulla figura di San Francesco il film di Renaud Fely e Artaud Lovet è la rappresentazione di un’ideale di vita (religiosa) destinato a rimanere tale. “Il sogno di Francesco” non a caso si colloca nell’anno (il 1209) in cui la regola del nascente ordine francescano venne rifiuta da Papa Innocenzo III, il quale, temendo il confronto con il radicalismo della pratica religiosa ivi contenuta sentenziò che l’approvazione della stessa sarebbe stata subordinata all’epurazione dei passaggi più scandalosi. Una scelta narrativa non di poco conto perché lasciando fuori campo la dissipatezza degli anni giovanili e soprattutto i motivi della conversione che in termini di empatia rappresenta da sempre il punto più alto della biografia francescana il film prende le distanze dalla parte più felice ed esaltante della vulgata qui sostituita da sentimenti di segno opposti che sono quelli scaturiti dai dubbi e dalla crisi che accompagnarono l’accettazione del compromesso voluto dal Papa e quindi il ridimensionamento di quel cristianesimo delle origini che aveva ispirato il  testamento spirituale del poverello d’Assisi. 

 

In questo modo dopo una breve introduzione in cui ad occupare lo schermo è l’armonia di Francesco e dei suoi fratelli con quell’ anima mundi che li rende partecipi alle sorti del prossimo e dell’interno creato, per l’appunto sottolineate da immagini immerse in una luce nitida ed abbacinante e da scene scandite dalla condivisione di riti collettivi (dal lavoro nei campi alla preghiera fino ai giochi con i bambini) “Il sogno di Francesco” cambia registro per mostrarci il rovescio della medaglia - coincidente con la messa in discussione delle certezze raggiunte - e quindi per raccontare il silenzio di Dio rispetto al bisogno di risposte dei suoi discepoli. Uno scarto netto e drammatico che nell’economia del film si traduce nella predominanza di atmosfere plumbee e in una frammentazione del racconto che in termini narrativi traduce il venir meno di quell’unità d’intenti di cui abbiamo detto. E poi in una sorta di passaggio di consegne tra Elio Germano e Jérémie Renier, attore feticcio dei fratelli Dardenne che nelle vesti di Elia - colui che dovrà riscrive la regola - diventa il vero protagonista del film, incarnando il senso di colpa di chi è chiamato dalla Storia a tradire il sogno di Francesco per far vivere quello della comunità francescana sopravvissuta alla morte del suo fondatore. 

 

Artefici di una regia filologica e politicamente corretta anche nell’opzione pittorica e giottesca della composizione scenica Fely e Lovet si fanno promotori di una religiosità che, nella volontà di sintetizzare il misticismo di Francesco (e dei suoi compagni) mediante una serie di quadri successivi volti a enuclearne il pensiero e la filosofia, finisce - alla stregua della riscrittura della regola da parte di Elia - per risultare annacquata laddove dovrebbe essere comunque profonda e rigorosa. Una cosa è infatti scarnificare la scena all’essenziale per ricreare l’ascetismo di un’anima assetata di Dio com’era riuscito a Liliana Cavani nel bellissimo e sottostimato “Francesco” (a cui il lungometraggio dei registi deve concedere pure la mancanza di una performance vissuta in prima persona come quella straordinaria di Mickey Rourke); un’altra è tentare di farlo rivolgendosi al tormentato vissuto dei personaggi con uno sguardo propedeutico che inevitabilmente risulta - fatta eccezione per la sequenza in cui si sviluppa il tentativo di suicidio di Elia - esterno a quello che racconta. Privo della capacità d’astrazione necessaria a ricreare la mescolanza di carnalità e intimismo proprie della personalità del Beato e non in grado di aggiungere alcunché di quanto già non si sapesse, “Il sogno di Francesco” rimane ingabbiato in un alveo di normalità che contraddice l’essenza della sua materia.

icinemaniaci.blogspot.it)

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