Espandi menu
cerca
Jackie

Regia di Pablo Larrain vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Theophilus

Theophilus

Iscritto dal 17 agosto 2012 Vai al suo profilo
  • Seguaci 3
  • Post -
  • Recensioni 51
  • Playlist -
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Jackie

di Theophilus
5 stelle

JACKIE

Fin dalle prime immagini si coglie che Jackie non è un film storico, ma esprime la chiara finalità di rivivere a posteriori, reinterpretandolo, il lutto di Jacqueline Kennedy nel suo divenire costante. La tragedia di pochi attimi spasmodici e il fluire contraddittorio dei momenti e dei giorni immediatamente successivi è tutto quanto il lungometraggio ci mostra.

Appartengono a quel caos le edulcorate registrazioni delle immagini della First lady all’interno della Casa Bianca nei primi mesi della presidenza Kennedy. Solo una vecchia pellicola in bianco e nero, però, una memoria rispolverata tramite il mezzo tecnico e che sembra, come tale, non avere una reale consistenza.

Inevitabilmente, la cinepresa è quasi sempre incollata sul volto di Natalie Portman/Jacqueline Lee Bouvier Kennedy, a carpire chissà quali segreti o, forse, a testimoniare e saggiare le qualità drammatico interpretative dell’attrice. Senza volerlo, la mente di chi scrive è riandata a Le fils, film diretto nel 2002 dai fratelli Dardenne. Là, un ignaro spettatore deve fare i conti con una macchina da presa ipnotica ed ossessiva che non stacca mai dagli occhi del protagonista e diventa essa stessa un personaggio attivo del film, che si apre solo successivamente sugli avvenimenti da cui trae spunto.

In Jackie, al contrario, il pubblico sa già tutto ed è come sfidato dal regista Pablo Larrain ad una competizione in cui trovare elementi inediti. Il film è la cronaca di un’ambiguità, l’esposizione di palesi contraddizioni che vanno e vengono a distanza ravvicinata, con lo scopo di far fuoriuscire la lacerazione dello spirito, a cui, però, si contrappongono di continuo le ragioni di stato o la consapevolezza che il dolore rischi di essere interpretato solo come uno spietato gioco di sovraesposizione mediatica. Così, al giornalista che ipotizza un futuro televisivo per la ormai ex First lady, Jackie risponde con apparente e sdegnata sicurezza che non le accadrà mai di dare in pasto se stessa e i suoi figli alle esigenze della spettacolarizzazione e della politica politicante. C’è, però, un’ondivaga e talora nauseante andirivieni della protagonista nel vietare, consentire, sperare, imporre che le accorate confessioni rilasciate vengano pubblicate nella loro interezza.

La figura del sacerdote che accompagna Jackie in una camminata consolatoria non ha nulla di salvifico. È solo la chiave “vincente” della banalità del quotidiano che, a poco a poco, riprenderà il sopravvento, nel bisogno di stemperare il ricordo del dolore con l’aiuto della presunta bontà divina. Solo così, Jackie – e l’uomo – riesce a tirare avanti, non potendo, se non per un attimo, ipotizzare la crudeltà di Dio.

Il montaggio del film contribuisce in modo convincente a dipingere l’evoluzione del perenne caos esistenziale. C’è una continua alternanza di situazioni, di momenti, di ricordi, di un presente e di un passato prossimo che si confondono, s’inseguono e confluiscono nella banalizzazione di un futuro consolatorio.

Pare a chi scrive che Jackie – per quanto detto – sia l’ennesima riflessione che il cinema fa su se stesso. E si domanda se sia o no tuttora in grado di differenziarsi criticamente dagli altri media o se, invece, non corra il rischio di diventare solo un’altra cassa di risonanza, limitandosi a testimoniare un dato senza poter incidere su di esso.

Enzo Vignoli

28 giugno 2017

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati