Regia di Michael Cimino vedi scheda film
Vogliamo parlarvi esaustivamente, sebbene brevemente, di uno dei massimi, inconfutabili capolavori della Settima Arte, firmato dal grandioso, compianto Michael Cimino, ovvero del celeberrimo Il cacciatore (The Deer Hunter).
Film della Universal Pictures, uscito sui nostri grandi schermi nell’oramai lontano 1979, precisamente il 27 Febbraio dell’anno appena suddetto. Un’opera magna giustamente oscarizzata con cinque, prestigiosissime statuette. Della lunga eppur appassionante durata di 3h e tre minuti, plebiscitariamente definita una delle più belle in assoluto sulla sporca guerra del Vietnam, posizionata in cima alle più rilevanti e autorevoli classifiche riguardo i film maggiormente capitali del Cinema mondiale, globalmente e insindacabilmente riconosciuta come una delle più rilevanti, commoventi riflessioni intimistiche sulla follia derivata da ogni insensata battaglia fratricida a sua volta ingeneratasi mefiticamente dall’abominazione umana partorita dalle più false, assurde ideologie distruttivamente belliche.
Trama:
siamo negli Stati Uniti, per la precisione nella piccola, nebbiosa e fredda, crepuscolare cittadina di Clairton in Pennsylvania. Dopo aver festeggiato il suo festoso e fastoso matrimonio assieme ai suoi amici, tutti operai di un’acciaieria locale, Steven Pushkov (John Savage) è obbligato a partire per la guerra vietnamita, in compagnia di due di loro, Michael Vronsky, detto Mike, (Robert De Niro) e Nikanor “Nick” Chevatorevich (Christopher Walken).
Tutti e tre sono di origine ucraina. Dopo essere miracolosamente scampati alle atroci torture dei vietcong, Steven, Mike e Nick fuggono disperatamente alla volta dell’agognata e sofferta libertà. Solamente però uno di loro, Mike, medagliato al valore, riesce a tornare a casa sano e salvo, seppur anche lui profondamente. Steven rimane fisicamente offeso e finisce sulla sedia a rotelle mentre Nick, insanabilmente traumatizzato dall’indimenticabile esperienza patita, preferisce rimanere a Saigon ove, purtroppo, oramai inebetito dalle droghe e dagli anestetici, troverà l’inesorabile morte, sottoponendosi sciaguratamente, per colpa di un’ennesima, testarda fatalità letale, al gioco della roulette russa. Schiattando dinanzi agli attoniti, terrorizzati e agonizzanti occhi di Mike stesso, accorso nuovamente in Vietnam per tentare di salvarlo, vanamente.
Una funebre, memorabile allegoria elegiaca sulla tragicità della condizione umana che, all’epoca, in maniera oscenamente erronea, dai benpensanti fu addirittura giudicata una pellicola reazionaria perché l’accusarono di descrivere, in forma lapidariamente sbrigativa e razzistica, i vietnamiti. Cosicché, se Apocalypse Now, solamente un anno prima, divenne istantaneamente una pellicola magnificamente allucinatoria, lisergica e visionaria, Il cacciatore, potremmo dire, immediatamente ne fu il suo gemellare, speculare, simmetrico contraltare, il rovescio della medaglia a sintomatica incarnazione in celluloide degli effetti devastanti provocati irreversibilmente dall’orripilante Vietnam. Un ritratto spettrale e impietoso della sua abominazione, un film sentimentalmente monumentale, sorretto dalle strepitose prove dei suoi protagonisti ove primeggiano le interpretazioni d’un De Niro potente e calibratissimo, d’un Walken in stato di grazia (premiato infatti con l’Oscar come migliore attore non protagonista) e di un’ispirata, delicatissima Meryl Streep qui al suo primo ruolo davvero di spicco. In mezzo a un cast altrettanto ineguagliabile di straordinari “caratteristi” come George Dzundza e John Cazale. A quei tempi, compagno nella vita reale, della Streep.
Il tutto illuminato dalla prodigiosa, divina, naturalistica fotografia liquidamente chiaroscurale, dapprima magicamente notturna e poi vigorosamente solare e al contempo crepuscolare di Vilmos Zsigmond (Il lungo addio, Lo spaventapasseri, I cancelli del cielo dello stesso Cimino, Blow Out).
di Stefano Falotico
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