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Regia di Michele Placido vedi scheda film

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La recensione su 7 minuti

di gaiart
6 stelle

Dilemma tra dignità ed economia. Cosa sareste disposti a perdere voi pur di LAVORARE?

7 Minuti

E la nuova forma di schiavitù.

Cosa sei disposto a fare per lavorare?

 

“La definizione sociologica di lavoro è:

la fatica che un essere compie per procurarsi il cibo.

Il leopardo corre per mangiare. L’uomo lavora!”

Stefano Massini

 

 

Michele Placido, con 7 minuti, mette in scena un dilemma irreversibile, in particolare in tempi di crisi: la scelta tra dignità ed economia.

 

Ispirato a un fatto realmente accaduto a Yssingeaux in Francia, poi diventato testo teatrale e film con la sceneggiatura di Stefano Massini, il film narra la vicenda di una fabbrica di tessuti, acquisita da una multinazionale con 300 operai, in cui in 11 donne del consiglio di fabbrica si trovano a dover votare pro o contro la rinuncia gratuita a 7 minuti di pausa.

 

Questo fatto che apparentemente sembra una cosa irrilevante, (chi non sarebbe infatti disposto a rinunciare a sette minuti di pausa su 15, pur di non perdere oggi il posto di operaio a 1000 euro al mese?), nasconde invece un ragionamento più sottile sui diritti dei lavoratori e su cosa si sia disposti a perdere pur di lavorare.

 

Nel sottofondo si nascondono altre tematiche; sia le molestie sessuali da parte di uno dei proprietari, sia la sicurezza del lavoro , una delle donne è rimasta in sedia  rotelle, sia l’inserimento nelle classi operaie di molti stranieri, africani, albanesi, disposti a tutto, proprio perché provengono da realtà che non garantiscono nulla. L'ingresso di extracomunitari è un ricatto prolungato. Anche la fiducia diviene un argomento importante. Non ci si fida più del prossimo tantomeno se ti può rubare il posto.

 

GSS: Come ha scoperto questa storia e come ha lavorato con queste attrici?  (a Placido)

MP: Massini mi ha presentato la storia e mi ha portato il testo mentre recitavo a Milano Re Lear. Mi ha raccontato che era in Francia, in alta Loira quando trovò su le Monde un riquadro nella cronaca che diceva che un consiglio di fabbrica aveva deciso di rifiutare un contratto di lavoro dove venivano umiliate delle donne lavoratrici.

Stefano Massini aggiunge: "Come toscano, cresciuto a Prato, una zona piena di fabbriche tessili, per me la suggestione verso il cinema è stata potentissima. Inoltre la storia funge come paradigma di un’epoca.

GSS: Come si è trovato a lavorare con questo gineceo?

MP: In Italia è difficile fare un film sul lavoro e poi interpretato da 11 donne, non vi dico. Ma è stato possibile grazie alla nostra brava  produttrice Federica Vincenti. In realtà è stato bellissimo. Le ragazze si confrontavano, discutevano e si sono anche commosse mentre recitavamo in una vera fabbrica vicino alla Miralanza. Poi sono arrivati i francesi hanno detto che bella storia noi ci stiamo; poi gli svizzeri, poi la rai che ci ha consigliato di lavorare con un cast un po’ più noto.

Stefano Massini aggiunge: in realtà è nato come testo teatrale interpretato da Ottavia Piccolo, mi sono accorto che girando per l'italia, quando eravamo a Terni , con l'agitazione delle acciaierie, gli operai venivano a vedere lo spettacolo. Poi ci spostammo a Bologna e le maschere del teatro venivano a dirci è la nosta storia. Questo film non tocca solo il mondo del proletariato moderno, ma il mondo del lavoro tout court. Oggi ahimè non siamo piu identificati col lavoro che facciamo. Il lavoro non è più espressione identitaria.

GSS: A chi si è ispirato? MaestrI?

MP: Dal punto di vista del  filone di denuncia ho un'affinità con i fratelli Dardenne , ma io pensavo più a uno dei miei maestri Sidney Lumet con La parola ai giurati. O ad Al Pacino nella banca in Quel pomeriggio in un giorno da cani.

Da loro ho imparato l'uso dell’attore come panorama e paesaggio. Qui ho usato  3 o 4 camere che stanno su chi ascolta, non su chi parla. Le macchine sono in continuo movimento e così si riprende la paura che si apre. Latina ha vissuto vicissitudini come quella della nostra storia francese. Miralanza e altre fabbriche hanno chiuso o ridotto. Ormai è consuetudine.

 

Il bello del film è che se ne esce confusi e tutti hanno ragione. Non è netto,  nè tutto bianco nè tutto nero , ma anzi apre una riflessione valida per tutti. Diventa chiaro che il lavoro è una trincea e  lo è anche etimologicamente, dato che tutti i termini vengono dal mondo militare come salario o stipendio.

In conclusione, anche se dal punto di vista artistico non sconvolge, la potenza del film va alla storia e all'argomento che porta in grembo e se ne consiglia vivamente la visione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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