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Indivisibili

Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film

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La recensione su Indivisibili

di Kurtisonic
7 stelle

Un sorprendente film italiano che non ti aspetti. Il raggiungimento della normalità è una privazione, pena la sopravvivenza.

Gianfranco Gallo, Marianna Fontana

Indivisibili (2016): Gianfranco Gallo, Marianna Fontana

Al suo terzo film, il regista napoletano Edoardo De Angelis lancia i segnali di una crescita magari non travolgente, ma che intanto procede per la sua strada.  Il regista dimostra di parlare con i fatti sugli argomenti che meglio conosce, la dimensione socio culturale della sua terra, e riesce a rivelarne aspetti e particolarità con uno stile ed un linguaggio non così diretto ed esplicito come può sembrare all'apparenza. Nel precedente Perez, aveva già sorpreso il pubblico con una rappresentazione di Napoli molto lontana dai consueti clichè accomunando in maniera funzionale la traccia noir con uno scenario metropolitano urbano inatteso che comincia a stimolare il doveroso interesse, mentre stavolta, (siamo nel casertano)  ripartendo da una storia dal basso potrebbe rischiare di cadere nell'inevitabile labirinto della poetica dei vicoli e della miseria. Non che in Indivisibili manchino questi riferimenti, ma De Angelis, orientato come ha fatto anche in precedenza, alla vicinanza fisica con i suoi personaggi, riesce a dettagliare analisi tra lo psicologico e l'antropologico permettendosi di lasciare fuori campo tutta l'esplosività di quell'ambiente che hanno saputo farci vedere anche altri quotati autori. Non è tanto esplicito il riferimento al primo Garrone nonostante la forma lo richiami, ma regalandosi anche un rispettoso omaggio che dà il nome ad uno dei personaggi del film, è a Marco Ferreri e alla sua La Donna Scimmia (1964) che dobbiamo guardare, al suo cinema che punta l’uomo per farci capire una società intera. Alla stessa mostruosa normalità del quotidiano, dove l'apparente tranquillità della vita è una brevissima pausa di una condizione tragica e talvolta grottesca che invece connota l’esistenza delle persone. Dasy e Viola sono gemelle siamesi attaccate tra loro con il bacino, dipendenti l'una con l'altra  che però rivelano due caratteri diversi. Sfruttate dai loro familiari che le presentano come bizzarre attrazioni per matrimoni, comunioni, feste di piazza, e particolare non secondario per le tradizioni locali, dotate di una bella voce per cantare. Si paventerà l'ipotesi di affrontare un'operazione chirurgica che metterebbe fine a questo stato di dipendenza. Il regista in tutte le interviste rilasciate ha sempre focalizzato un punto importante che mi trova completamente d’accordo, cioè " la scelta di radicalizzare un racconto dentro una realtà specifica non è ghettizzante ma offre l'occasione di riconoscersi in un'universalità di sentimenti comuni". Quando ciò avviene e in questo caso il dato si conferma, significa che siamo davanti ad una riuscita pagina di cinema. Non che Indivisibili sia esente da punti deboli (non sempre la colonna sonora è complementare all'immagine, il personaggio del prete e il sottobosco umano dello yacht  che appare in una scena per me stridono con l'essenzialità che percorre il racconto) ma anche nelle parti più cedevoli De Angelis si raccorda con una successiva immagine forte. Le due belle ragazze diciannovenni, sono sorelle anche nella vita, sono presenze magnetiche e interessanti, ma nonostante la loro bravura il motivo di interesse maggiore resterà sempre cosa muovono intorno a loro. La loro deformità fisica viene superata dalle prime battute di scena dal conflitto di una dualità interiore profonda che intacca non solo loro ma ogni elemento della storia, personaggi, ambiente e spettatori. Tra realismo e superstizione, tra religiosità e cinismo, da una condizione di bruttura e di degrado ad una di bellezza liberatrice senza che intervengano fatti eclatanti che non quelli che possono far parte della quotidianità locale. De Angelis trova l’alchimia giusta per sovvertire il senso del concetto del doppio, cioè  realizzazione e completamento dell’individuo che avviengono tramite la privazione di una parte di sé, e non attraverso l’esplorazione e la conoscenza di una nuova, come si trattasse di una vera e propria mutilazione necessaria per sopravvivere (volendo lo si può collegare a quanto già sviscerato da Lanthimos in The Lobster). Le contraddizioni  connotano i personaggi di contorno, il padre, la madre, tanto esecrabili da essere però compresi nella loro umanità “di riflesso” cioè con quell’ambiguità che li lega alle due figlie. Il tutto senza il solito contorno trito e ritrito di camorra, droga e sesso. Quando la sottolineatura del degrado si sovrappone al materiale visivo che già di per sé alimenta le riflessioni del pubblico, il film allora sbanda, si ferma.  Ma è per pochi istanti, il castello di sabbia di De Angelis resta solido fino alla fine.

 

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