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Arrival

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Arrival

di Fauves
10 stelle

Poetico. Moderno. Potente.

   

 

   Denis Villeneuve "arrival" (oppure "coming"?) nelle sale cinematografiche, e si porta dietro anche il compositore Jóhann Jóhannsson, che già avevamo avuto modo di conoscere in "Sicario" e "Prisoners". Quindi, Denis, si presenta con alcuni membri della sua "troupe", ma, soprattutto, non dimentica "sul comodino" il suo Cinema, la sua idea di Cinema.

 

   "Arrival" è tratto dal racconto "Story of Your Life (1998)" dello scrittore statunitense Ted Chiang; esso immerge lo spettatore in un futuro non troppo lontano, lo immerge in un meraviglioso (ma pericoloso) scenario, che, se si avverasse, cambierebbe l'esistenza di ognuno di noi, l'identità stessa di ogni individuo.

Il principio sul quale l'opera fonda la propria filosofia vede, citando Ian Donnellyla società come frutto della Scienza, ma, allo stesso tempo, anche del linguaggio, della gestualità, e quindi è in realtà grazie al connubio tra le due forze (scienza e materialità umana) che si potrà arrivare alla risoluzione del vero quesito dell'esistenza umana, la domanda a cui nessuno può (ne saprà mai) dare risposta.

La risposta, o almeno un avvicinamento ad essa, viene data al genere umano dagli "eptapodi"; ed è di tale impatto da dimostrare errata la stessa concezione di vita del genere umano, e, in modo particolare, la concezione di "tempo lineare", propria all'evoluzione della nostra specie. Louise Banks si trova catapultata tutt'a un tratto (seguendo le teorie del linguista Edward Sapir e del suo allievo Benjamin L. Whorf) all'interno di una visione totalmente distaccata da quella tradizionale, che alcuni potrebbero indicare come "Eterno ritorno dell'uguale" , cioè la visione di un'esistenza continua, piena di dolori, di gioie, di sorrisi, ma più in generale di Vita, piena solamente dell'unico e irrangiungibile mistero:

 

      quello dell'Esistenza.

 

 

 

 

Risultati immagini per uroboro
Qui sopra è raffigurato Uroboro, il serpente che si morde la coda, rappresentazione della natura ciclica delle cose.




M.P.

 

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