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Il gigante

Regia di George Stevens vedi scheda film

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La recensione su Il gigante

di Antisistema
7 stelle

Questo film verrebbe da paragonarlo ad un corridore che ha gestito male una corsa che avrebbe potuto dominare se avesse distribuito al meglio le proprie energie ed invece per la smania di bruciare gli avversari, decide stupidamente di dare il massimo all'inizio per giungere al traguardo con il fiatone arrivando terzo.

Il Gigante di George Stevens (1956) nella sua fluviale durata di tre ore e venti, brucia molti temi nella prima ora di film, per poi arrancare con molta fatica nelle battute finali perdendosi troppo nel melodramma. La pellicola è il classico kolossal dell'epoca; gran cast, durata abnorme e girata in cinemascope per contrastare il nascente mezzo televisivo. Fortunatamente George Stevens anche se oggi è stato largamente svalutato come regista comunque riesce a portare a casa un film buono, cosa che molti colleghi più rinomati di lui con questo genere di film sono naufragati ed affondati miserevolmente. 

 

James Dean, Elizabeth Taylor

Il gigante (1956): James Dean, Elizabeth Taylor

 

Il Gigante (riferimento al Texas) ha l'ambizione di tirare le fila di ben tre generazioni di una famiglia americana di allevatori del Texas nell'arco di ben 25 anni, andando dagli anni 20' sino alla fine degli anni 40', seguendo la storia di Jordan Benedict (Rock Hudson), ricco allevatore e proprietario di oltre 240.000 ettari di terreno e delle sua novella sposa del Maryland; Leslie (Elizabeth Taylor).

La pellicola ha l'ambizione di trattare temi come il forte razzismo degli allevatori (compreso Jordan) nei confronti dei loro dipendenti di origine messicana, l'arrivismo capitalista (incarnato da un ragazzo al servizio di Jordan, Jett Rink, interpretato da James Dean), la condizione segregata della donna, conflitto genitori - figli e l'evoluzione economica del Texas che dall'allevamento passa allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi improvvisamente scoperti. 

Sono argomenti interessanti, ma anche molto controversi da sempre per l'America, specie quella "perfettina" e puritana degli anni 50', al cui il cinema di Hollywood propinava un perfetto sogno americano e una facile risoluzione delle difficoltà. 

Stevens deve fare di necessità virtù, dissiminando qua e là questi temi, ma intervallando il tutto con forti inserti melodrammatici che a lungo andare appesantiscono il film ed impediscono ad essi di germogliare appieno in tutta la loro potenza; inutile dire che le parti più stiracchiate sono i conflitti tra personaggi gestiti talvolta con mano pesante e che oggi sono la parte più datata del film, tanto che all'epoca innanzi agli elogi unanimi della stampa americana, Truffaut fu poco entusiasta del film accusandolo di paternalismo, solennità a tutti i costi e demagogia. 

 

Elizabeth Taylor, Rock Hudson

Il gigante (1956): Elizabeth Taylor, Rock Hudson

 

Il critico francese non aveva tutti i torti, ma è anche vero che indubbiamente per un film mainstream (vabbè che all'epoca lo erano tutti in america, ma questo essendo un kolossal era mainstream del mainstream) un certo revisionismo critico della storia americana disseminato qua e là fa piacere. Nei campi lunghi delle piane del Texas c'è un indubbio fascino visivo, ma questa vastità è frutto di una guerra di aggressione ingiusta verso i Messicani a cui gli USA rubarono oltre metà del suo territorio (tra cui il futuro stato del Texas) e non paghi di ciò, hanno confinato i messicani ai margini della società e dell'economia del paese. 

Leslie ha una concezione liberal, per lei bianchi e latinos sono sullo stesso piano di uguaglianza, naturalmente per l'allevatore Rick questa cosa è pura eresia e da qui scattano i conflitti con una moglie oggettivamente non solo più progressista di lui, ma anche più istruita e acculturata, tanto che Jordan mostra dei problemi nel gestirla, poichè nel Texas la donna può si occuparsi di parte del lavoro dell'allevamento, ma i suoi compiti si limitano principalmente alla gestione e amminsitrazione della casa; una concezione medioevale secondo Leslie, che invece una chiacchierata di politica con gli uomini la farebbe volentieri. 

 

 

Il Gigante mostra le contraddizioni dell'america; a differenza dei filmetti liberal di Stanley Kramer (quelli si pedanti e paternalisti), George Stevens indaga il razzismo molto più a fondo e con molta più profondità; i latinos sono stati esporpriati dei loro diritti e delle loro terre dai nuovi padroni bianchi americani, che adesso li hanno relegati all'ultimo gradino della scala sociale e confinandoli in baracche fatiscenti in stile Apharteid dove ogni etnia praticamente si fa i fatti propri, arrivando forse ad un finale che se nei fatti è necessario per riconoscere gli errori e le ingiustizie nei bianchi verso i latinos, nella pratica ancora oggi è molto utopico nella sua concretizzazione (specie ora che con Trump, metoo e il politicamente corretto l'america è fortemente divisa). 

 

Rock Hudson, Elizabeth Taylor

Il gigante (1956): Rock Hudson, Elizabeth Taylor

 

Rick di loro non si cura, nè il giovane Jett nella sua sete di potere arrivista funge da contraltare positivo; anzi, il ragazzo diventato ricco grazie al petrolio e costretto tutti gli altri allevatori a diventare petrolieri volenti o nolenti per via dei grandisismi guadagni, è la faccia di uno yuppismo sfrenato a tutti i costi che può svilupparsi velocemente grazie ad un potere connivente che abbassa fortemente la tassazione sulle estrazioni petorlifere (mentre gli altri lavoratori come il padre di Leslie invece devono pagare tutto).

Rock Hudson è stato criticato negativamente da qualcuno per il suo confronto con la recitazione di James Dean; indubbiamente la sua recitazione rispetto a quella del proprio collega è molto più classica, ma il suo personaggio incarna una visione del Texas oramai decadente e destinata a soccombere nonostante Jordan con la propria stazza enorme cerchi di opporsi a tutto questo, ma alla fine anche un colosso deve cedere poco a poco e quindi uno stile fortemente classico giova nella recitazione. James Dean si toglie certi manierismi alla Gioventù Bruciata dove era un pò troppo yo-yo sono giovane e dannato, per maturare recitativamente grazie alla complessità del suo personaggio, come una sorta di Daniel Day Lewisiano Petroliere del film di Anderson, anche se senza tutta quela carica di profondità psicologica del film di Paul Thomas Anderson. 

Più in disparte Elizabeth Taylor, specie nella seconda parte del film ed è un vero peccato poichè il personaggio suo non sarebbe dovuto ridursi a poco a poco a supporto di Jordan, ma offriva molti spunti interessanti (molto meglio qui che in film come Venere in Visione). 

Costato ben 5,4 milioni, il film ne incassò quasi 40 ed ottenne molte nomination agli oscar tra cui miglior film, regia, sceneggiatura non originale e per i due attori protagonisti (Rock Hudson e James Dean, tutti e due stranamente sconfitti da Yul Bynner) vincendo solo per la miglior regia  (vista la concorrenza non alta, avrebbe meritato anche quello a miglior film). 

 

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