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La vita possibile

Regia di Ivano De Matteo vedi scheda film

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La recensione su La vita possibile

di M Valdemar
3 stelle

 

locandina

La vita possibile (2016): locandina

 

 

Non i toni melanconici di una Torino autunnale ben fotografata (perlomeno negli esterni) né l'accentuazione musicale di struggenti note al piano né tanto meno la stringente materia di attualità (violenza sulle donne: cronachismo e conseguenze) fanno di La vita possibile un lavoro dotato di intrinseche qualità cinematografiche.
Una generale mestizia paratelevisiva affligge e pervade un prodotto canonico - pronto alla canonizzazione di massa preventiva - che non sa - e forse non vuole, non lo ha mai voluto - uscire dal confortante storytelling di cui si nutre - e che fagocita - la melliflua dimensione delle fiction e dei programmi dedicati imperanti sul piccolo schermo.
Il facile, dogmatico didascalismo, l'enfasi del dramma e la parafrasi della drammaturgia (la ricerca della reazione, immediata e circoscrivibile, è tutto), i toni sommessi, l'insistenza su volti artefattamente afflitti e gli stacchi ariosi ma sempre inseguendo un intimismo ricattatorio e buono per tutte le stagioni, persino gli elementi - utili perlopiù per dare e darsi la patente di "film" - all'apparenza stridenti (i frammenti dedicati al teatro, il destino della prostituta, la violenza tenuta a distanza): ogni cosa risponde all'esigenza essenziale, uni(vo)ca, di brandire il racconto per farne oggetto di istantanea e rituale partecipazione collettiva, sotto l'egida e con le stimmate della lettura etica (giammai critica), dell'agevole "buona" divulgazione.
Una lezione fastidiosa che passa attraverso semplificazioni di sorta spacciate per affacci-verità su piccole storie di quotidianità diffusa, e una singhiozzante, lacunosa scrittura incapace di oltrepassare soglie di salvaguardia e autogiustificazione.
Mero, prudente testo for dummies di psicologismo-sociologismo-moralismo a largo, rapido consumo, irradiato dal messaggio di fondo (gli spiragli di una vita possibile ... l'unico traguardo alla portata del regista) ed incastonato tra facce ed espressioni e scenette che esibiscono, spiegano, illustrano, sottolineano, informano, educano. Per non dire niente (che non sia già stato detto nei recinti televisivi deputati delle fasce pomeridiane e serali).
E, alla fine, del tanto propagandato "incontro tra due donne agli antipodi ecc." non v'è traccia rilevante alcuna: inesistente il personaggio di Valeria Golino (di cui si ricorderanno, tutt'al più, le mise artistoidi), studiatissimo eppure carente quello di Margherita Buy (la sofferenza - standard - sua è la nostra), accessorio quello della povera Caterina Shulha, insignificanti gli altri comprimari (tra cui lo spaesato Bruno Todeschini); emerge semmai, pur flebilmente - ed avrebbe meritato ben altro spazio e livello di scrittura - Valerio, il figlio della Buy (interpretato dall'altalenante Andrea Pittorino).
Un film che rimane sulla carta (leggera, fragile, anonima, bagnata di mire tendenti al consenso generale e null'altro), e di cui non rimane che una domanda: un altro cinema è possibile per Ivano De Matteo?

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